Un totale di infezioni tra 116.114 e 274.378 casi. I dati di uno studio cinese sull’Italia sono impietosi e sono arrivati oggi. E si spingono persino oltre, arrivando a pronosticare una data precisa sulla fine della pandemia nel paese.

I ricercatori hanno osservato che dall’esperienza della Cina, varie misure di controllo, tra cui la diagnosi precoce e l’isolamento di individui con sintomi, le restrizioni dei movimenti, il monitoraggio medico e gli screening in entrata o in uscita, sono state in grado di impedire efficacemente l’ulteriore diffusione di Covid-19.

Il team diretto da Wangping Jia del Chinese Pla General Hospital di Pechino ha confrontato l’epidemia da nuovo Coronavirus nella provincia cinese di Hunan e l’Italia in uno studio sulla prestigiosa rivista Frontiers in Medicine.

Mentre procedono le sperimentazioni dei vaccini, tra cui anche italiani, dall’analisi emergerebbe chiaramente, dicono i ricercatori, che in base ai dati disponibili l’allentamento delle misure in Italia è arrivato “troppo presto”. Per quanto loro stessi ammettano che lo studio non sia perfetto, dichiarano di voler “sottolineare che un intervento governativo precoce può ridurre notevolmente il numero di casi infetti”.

Il rischio è che il nostro Paese si trovi ad affrontare una seconda ondata di casi di Covid-19, forse anche peggiore.

Secondo il modello cinese la fine dell’emergenza sanitaria per noi arriverebbe intorno al 6 agosto. Una data lontana, lontanissima. La potenziale seconda ondata potrebbe arrivare se le restrizioni venissero allentate “tre mesi prima” di agosto, e cioè ora, com’è stato.

Il team ha utilizzato i dati del database della John Hopkins fino al 2 aprile per mappare la tendenza dell’epidemia nella regione dell’Hunan e in Italia. I ricercatori hanno modificato un modello matematico standard, noto come modello suscettibile di infezione (Sir), per studiare gli effetti di diverse misure di prevenzione.

Ma perché confrontare l’Hunan e l’Italia? Perché sono simili per dimensioni della popolazione, circa 60-70 milioni di abitanti entrambi, ma l’impatto dell’epidemia in queste due aree è stato molto diverso. Al momento della pubblicazione dello studio, mentre nello Hunan si registravano poco più di mille casi di contagio, l’Italia era il Paese con il secondo più alto numero di decessi dopo gli Stati Uniti e si collocava al terzo posto per infezioni.

Il modello mostrerebbe che potrebbero esserci in totale 3.369 casi nell’Hunan, con la fine dell’epidemia già avvenuta intorno al 3 marzo. Contro le centinaia di migliaia di casi stimati in Italia e la fine prevista per l’inizio di agosto.

Perché questa grande differenza? L’Italia potrebbe non aver implementato misure di prevenzione in tempo, ipotizzano i ricercatori, poiché il modello Sir ha dimostrato che intervenire in anticipo nel caso dell’Hunan ha ridotto drasticamente i tassi di infezione.

Il Direttore editoriale Carlo Costantini – Foto Getty Image

Redazione IL POPOLANO

La Cesenate

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