Josip Broz, in arte Tito, fu un carnefice con la pistola sul comodino e migliaia di morti nelle foibe

E ,questa sera, per i lettori de “Il Popolano”,mentre finisce la tradizionale festa di San Giuseppe,vi propongo una storia vera,che ho letto con grande interesse (www.centrostudifederici.org/la-storia-di-un-carnefice-con-la-pistola-sul-comodino), e dice di un  Giuseppe più noto come Josip Broz alias il famigerato Tito. Ed ho scritto famigerato perché, scorrendo il bellissimo articolo che, appunto segue, ti entra con tristezza nel sentimento umano e, particolarmente italiano, a cospetto di stragi e stragi di uomini e donne tutti martiri di un comunista peggiore di Stalin che, fra le sue vittime, ha molto spesso fatto stragi di quegli italiani di Venezia Giulia, Istria e Dalmazia che non erano stati necessariamente fascisti ma erano italiani punto e basta! Anzi, c’è un particolare, leggendo delle foibe lo stupore affranto e misurabile, con un solo nome che dice, purtroppo tutto, di sangue e sevizie. Infatti, verso la fine della lettura ecco che appare e rivive nel ricordo di moltissimi italiani Norma Cossetto.

E’ di qualche giorno la notizia: “ l’Onorificenza al  Maresciallo  Tito è stata cancellata, o meglio è decaduta!” A fare luce sulla vicenda ,molto dibattuta tra destra e sinistra, è stato il Quirinale  che ha pubblicato sul sito della Presidenza della Repubblica, nella sezione riferita alle onorificenze il seguente passaggio”Le onorificenze sono legate all’esistenza in vita dell’insignito e decadono con la sua morte. Non possono essere concesse onorificenze alla memoria”. Quindi il dittatore Jugoslavo non è più “Cavaliere di Gran Croce Ordine al Merito della Repubblica Italiana”. Ma, ciò che non si può cancellare, di certo,  è che c’e stato un  tempo in cui l’Italia ha voluto celebrare certi personaggi….

Ma chi era,dunque, Josip Broz, in arte Tito?

E’ stato uno dei maggiori criminali del secolo scorso. Era nato nel 1890 in un paese nella zona di Zagabria da padre croato e da madre slovena. Nasce come suddito del potere austro ungarico e negli anni perseguirà l’obiettivo di creare un “Impero Balcanico” costruito attorno al Comunismo. Allo scoppio del conflitto mondiale Josip Broz vestirà la divisa austriaca e, nel ’15, verrà  fatto prigioniero sul fronte russo.  E, proprio, in  Russia che vivrà la rivoluzione sovietica anche se di questa fase della sua vita si sa molto poco. C’è chi ha avanzato l’ipotesi  di un suo inserimento nei Servizi sovietici (CEKA o KGB che fosse), ma ciò che è certo  è che egli conquisterà una posizione nel sistema staliniano. Infatti, a fine guerra di Spagna gli viene dato l’incarico dal “Comintern” di gestire il rimpatrio dei reduci delle truppe rosse, dopo la sconfitta in Spagna, in questo ruolo riuscirà a costruirsi una sua rete di relazioni internazionali che gli torneranno molto utili in futuro. Sicuramente l’esperienza in Russia gli sarà molto utile, infatti, negli anni ’30, assumerà progressivamente il controllo assoluto del variegato e conflittuale comunismo jugoslavo, con metodi da terrorismo e da servizi (assassinii, spiatealla polizia e simili). Naturalmente con il pieno avallo di Stalin che avrà nei confronti di Tito un’ assoluta fiducia.

Due pseudonimi

Il fatto molto curioso è l’uso da parte di Josip Broz di due pseudonimi  è a Vienna ,il 2 agosto 1934, quando per la prima volta usa lo pseudonimo Tito. Secondo Denis Kulijs (coautore con Klinger di «Tito segreto») il nome deriverebbe da una pistola automatica sovietica, come l’altro suo pseudonimo, «Walter», farebbe riferimento ad una pistola tedesca. La pistola, comunque, è stata certo protagonista nella vita del compagno Josip Broz: sarà sempre presente sul suo comodino, fino alla sua morte.

Non sappiamo se era una Tito o una Walter, comunque era una pistola che accompagnava le sue notti.

In realtà il modus operandi di Josip Broz, all’interno del Regno Karageorgevic ed nelle lotte interne al partito comunista, sarà sempre caratterizzata da una rigorosa applicazione della regole dei Servizi, quelle regole apprese disciplinatamente alla scuola di Mosca, regole riassumibili in poche parole: segretezza, violenza, terrore.

La Guerra

Tito, comunque, si trova in Jugoslavia quando il 28 marzo 1941 il Regno dei Karageorgevic entra in guerra contro Italia e Germania (rompendo il Patto del Belvedere stipulato in paio di giorni prima). Una guerra che ha un esito molto veloce: il 17 aprile lo sfascio degli Jugoslavi con conseguente sfascio di quella Jugoslavia: la Croazia da vita ad un nuovo stato e la Provincia autonoma di Lubiana entra a far parte dell’Italia. Permane in realtà una guerra partigiana, contro i Tedeschi e gli Italiani, ad opera dei Serbi, guidati dai Cetnici del gen. Mihailovic. E Tito? Ed i suoi militanti del partito comunista jugoslavo, di cui egli è leader e guida? Loro stanno alla finestra, per una ragione molto chiara e precisa. I Comunisti , di tutto il mondo, siano essi Francesi o Italiani o Jugoslavi, si asterranno da qualsiasi presa di posizione contro la Germania finchè alleata dell’URSS. La situazione cambierà solo quando il 22 giugno la Germania attaccherà l’Unione Sovietica, dando inizio all’Operazione Barbarossa.

Milovan Djlas, nel suo lavoro «La guerra rivoluzionaria», riferisce che il giorno stesso della notizia dell’attacco tedesco Tito stende l’appello alla guerra contro la Germania e l’Italia, appello che – previa approvazione di Stalin – verrà diffuso a tutti i militanti.

La linea ufficiale è quella della «Guerra di Liberazione», affiancando cioè i partigiani cetnici, la sostanza vera però resta quella della «Guerra Rivoluzionaria», per dare vita alla fine ad una Jugoslavia comunista.

Sempre Djlas riferisce, nel suo «Le conversazioni con Stalin», che Stalin raccomanda a Tito di mimetizzare la finalità «rivoluzionaria» fino a quando non avrà ricevuto l’investitura da parte di Churchill. Suggerisce perfino di togliere le stelle rosse per non spaventare gli Inglesi, ma Tito osserva che ormai a quel simbolo i suoi uomini sono troppo legati.

Gli uomini di Tito scendono comunque in campo e lo fanno con indubbia efficacia, se è vero che, per il governo di Londra, sarà giusto sul finire del ’43 assegnare proprio a Tito la guida della guerra in Jugoslavia

Il terrore rivoluzionario

La guerra nei Balcani è stata sicuramente molto sanguinosa. I dati raccolti da fonti americane (come già ricordato) parlano di quasi due milioni di morti e attribuiscono il cinquanta per cento di questa ecatombe agli uomini di Tito (è la conferma del giudizio di Churchill sui Comunisti di Tito che ammazzavano molto di più).

Di certo l’intreccio di conflitti politici, etnici, religiosi presenti in quest’area favorisce queste esplosioni di crudeltà. Lo si è visto anche nell’ultima guerra balcanica, quella che ha accompagnato la dissoluzione della Jugoslavia dopo il 1991. Resta comunque un dato indiscutibile: il modus operandi degli uomini di Tito nella loro guerra rivoluzionaria sicuramente si è caratterizzato per quella strategia del terrore che, dai tempi e dagli insegnamenti di Lenin, accompagna sempre la nascita di uno stato comunista. Ancora William Klinger ha analizzato le procedure seguite da Tito: conquistato un territorio la prima a dover intervenire era l’OZNA, vale a dire i Servizi che avevano appunto il compito di far piazza pulita del «nemici del popolo», poi arrivavano le strutture del partito, quelle militari e, da ultimo, quelle amministrative.

Gli Italiani tutto ciò lo hanno sperimentato, dopo 1’8 settembre ’43. Allo sfaldarsi dell’esercito italiano ha infatti fatto seguito il controllo dell’Istria interna (la zona di Pisino) da parte dei partigiani di Tito. Rientra proprio in questa fase la tragica vicenda di Norma Cossetto, la studentessa poco più che ventenne, catturata dai partigiani dell’OZNA, violentata ripetutamente e poi infoibata, rea di essersi rifiutata di entrare tra le file partigiane e quindi, perciò stesso, «nemica del popolo», meritevole di quella tragica fine.

La guerra è finita?

Abbiamo parlato della violenza, del terrore, degli eccidi nel corso della guerra, ma con la fine del conflitto, con la conclusione della «corsa per Trieste», con il 1 maggio 1945 è finito tutto questo? No di certo, ha appena inizio la fase organica, sistematica della sparizioni, degli infoibamenti, degli annegamenti, con una pietra al collo.

Il tutto sempre con la gestione degli uomini dell’OZNA. Anche perchè in tale situazione è l’OZNA e solo l’OZNA ad avere l’esclusivi diritto di gestire la violenza e il terrore. A nessun altro, certo non a iniziative di tipo personale.

Quando, dopo la fine del Comunismo, è stato possibile accedere agli archivi sloveni, lo storico Roberto Spazzali ha ritrovato a Lubiana gli elenchi dei «nemici del popolo» che andavano eliminati nel maggio ’45. E nei quaranta giorni di occupazione titina della città di San Giusto saranno migliaia le persone prelevate dalle proprie abitazioni per non più ritornarvi.

Nella Foiba di Basovizza, con una tragica contabilità basata sullo spazio occupato dai cadaveri, si sono quantificate almeno 4000 vittime (pari a 500 mq).

Ma chi erano queste vittime? Certo potevano esserci esponenti fascisti (anche se i più si erano allontanati prima dell’arrivo dei Titini), ma c’erano anche gli uomini del CLN ed esponenti politici antifascisti, ma non comunisti, c’erano anche coloro che, a vario titolo, rappresentavano lo Stato (finanzieri, carabinieri, poliziotti, ma anche postini, dipendenti comunali), c’erano borghesi, professionisti e così via. C’erano sopratutto tante, tante persone che niente avevano acchè fare con la politica.

Perchè la triste logica del terrore è una sola: nessuno deve sentirsi al sicuro, tutti devono percepire la presenza dei «poteri popolari» che posso prelevare chiunque «per dei controlli» per poi far sparire per sempre.

Tutto rigorosamente logico e coerente

Va ribadito: parliamo di eccidi avvenuti a guerra finita, ma quale guerra? Quella «di liberazione» contro il nazifascisti, ma non certo la guerra rivoluzionaria, quella che doveva portare alla nascita della nuova Jugoslavia del comunismo. Per raggiungere questo obbiettivo, lo stato comunista occorreva seminare a piena mani il «terrore rivoluzionario», occorreva far sì che chiunque temesse di trovarsi qualificato come «nemico del popolo», il tutto perché questa è la logica perversa per l’affermarsi di una rivoluzione.

Mao Tse Tung, che di rivoluzioni se ne intendeva (come Lenin, come Tito anche lui edificò una stato comunista con la rivoluzione) ebbe a dichiarare «la rivoluzione non è un pranzo di gala». Gli eccidi degli uomini con la stella rossa ne avevano data la prova tragica e drammatica.

Il tutto, va sottolineato, a guerra finita, quando vennero infoibati o comunque trucidati migliaia e migliaia di Italiani (certo oltre diecimila). Ma, sempre a guerra finita, vennero trucidati decine di migliaia di Sloveni e centinaia di migliaia di Croati.

E’ attualmente continuo, in queste due Repubbliche, il ritrovamento di fosse comuni, foibe o grotte, con centinaia e centinaia di cadaveri.

Le Repubbliche di Slovenia e di Croazia hanno istituito degli organi pubblici preposti proprio alla ricerca di questi tragici siti. Lo stanno facendo ora, negli anni ’20 del duemila, perchè in passato, fino a chè c’era il Comunismo, l’argomento era rigorosamente tabù.

La fine del terrore?

E sempre Djlas a documentarlo: nel ’47 in una riunione dei supremi organi del partito, a seguito delle lamentele slovene per il numero di fosse comuni che intralciavano i lavori agricoli, Tito diede disposizioni di porre termine all’eliminazione dei «nemici del popolo» senza processo alcuno.

Il terrore rivoluzionario era finito? Non per molto. Quando, sempre nel’47, ci sarà la rottura tra Tito e Stalin, quando quest’ultimo decreterà l’espulsione della Jugoslavia dal Cominform perchè rea di eccesso rivoluzionarismo, in quel momento scatterà un nuovo conflitto: la guerra tra Cominformisti e Titoisti.

Una guerra combattuta tutta tra Servizi: il KGB per Stalin, l’UBDA (erede dell’OZNA) per Tito.

Sarà una guerra nella quale Tito rimetterà in funzione tutto il suo sistema di terrore, simboleggiato tristemente del famoso lager dell’Isola Calva-Goli Otok dove finirono a centinaia gli accusati o sospettati di stalinismo.

Il conflitto avrà una conclusione con la morte di Stalin, nel marzo del ’53, ma conterà un numero ancora non quantificato di vittime.

Un ultimo colpo di coda del sistema terroristico di Tito lo si avrà negli anni ’70, quando le richieste di libertà e di democrazia degli studenti e dei professori dell’università di Zagabria trovarono una repressione pesantissima, con decine, centinaia di carcerazioni.

Una vicenda pressocchè ignorata dalla pubblica opinione occidentale. Ne ha dato sofferta testimonianza Gabriella Chmetnel suo «La primavera di Zagabria» (Luglio Editore, 2022), una testimonianza veramente imperdibile.

Sarà l’ultimo exploit del terrorismo titoista, perchè il 4 maggio 1980 Josip Broz esalerà l’ultimo respiro e la pistola potrà così lasciare il suo comodino.

Fonte: Lega Nazionale – Anno XX – numero 72 – Settembre 2023, estratto dell’articolo “Le Foibe, l’esodo e la menzogna, di Paolo Sardos Albertini, pp.7 – 10

La storia di un carnefice con la pistola sul comodino

A cura di Francesca Brugnettini editorialista – Foto ImagoEconomica 

 

 

 

 

 

 

 

Redazione IL POPOLANO

La Cesenate

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