IL CAMPO DI CONCENTRAMENTO DI AUSCHWITZ 75 ANNI DOPO LA LIBERAZIONE
GOTI BAUER SOPRAVVISSUTA AUSCHWITZ

La meditazione sullo Shoah è un impegno di lungo corso.
Il dovere della memoria non può mai limitarsi a un’attenzione occasionale: ricordare significa innanzitutto accendere sempre nelle generazioni più giovani la fiaccola della memoria.

E’ tra i banchi di scuola che si forma la coscienza e la consapevolezza di una persona, e ci si confronta con un mondo fatto di diversità e di ricchezze culturali.
E’ giusto usare lo Shoah per riflettere sui mali moderni?
Lo Shoah non deve rimanere un evento intoccabile, bensì è importante farne un uso corretto della comparazione della Storia.

Luoghi e tempi sono mutati, ma atteggiamenti segregazionistici o discriminatori continuano a persistere. Dovendo circoscrivere l’argomento, mi soffermerei alle problematiche a noi più vicine, e dovendo riconoscere i cambiamenti epocali in cui il vecchio Occidente si trova vittima dei suoi stessi mali, mi viene in mente che uno fra tutti è l’indifferenza.

Se pensiamo all’accoglienza riservata ai migranti africani, considerati, molto spesso, come “sotto uomini”, il parallelo ci riporta ai termini con cui i nazisti definivano gli Ebrei, spogliandoli della loro dignità umana.

La questione è complessa, e la cosa più importante per noi “illuminati” occidentali è di non cedere all’odio e al razzismo.
“…Può stupire che in un Lager uno degli stati d’animo più frequenti fosse la curiosità.
Eppure eravamo oltre che spaventati, umiliati e disperati, anche curiosi: affamati di pane e anche di capire”…

Questo scriveva Primo Levi nel suo libro: Auschwitz, città tranquilla, per quanto sin dagli esordi la volontà di Levi era stata d’essere prima di tutto uno scrittore la cui narrativa appare saldamente legata all’esperienza del lager, tanto da non poter essere compresa a fondo senza questa terribile vicenda.
Al punto da pensare che senza Auschwith, come riconosceva lui stesso, non sarebbe nato lo scrittore.

Quest’anno il GIORNO DELLA MEMORIA, l’anniversario della liberazione di Auschwitz, arriva carico di minacce e di dubbi.
Come sempre, ricordare sarebbe già un dovere in sè, ma serve anche, perchè lo Shoah e più in generale l’Olocausto (la strage di disabili, oppositori, omosessuali, rom, che ha preceduto e accompagnato la Shoah) non si ripetano mai più.

Parlare di Olocausto vuol dire anche e soprattutto parlare di morte.
Ma non solo: anche di speranza.
Di solidarietà e di supporto reciproco.
Di piccole comunità, che si formavano nelle stanze dei campi di concentramento voluti da Hitler. Parlare di Shoah vuol dire ripercorrere le storie di chi ha portato fino a noi ciò che è stato: dai 6 anni in poi la Giornata della Memoria può partire tra i banchi sui libri, e poi snodarsi fino a casa, in un dibattito che genitori, bambini, ragazzi possono e devono alimentare.

Perchè è vero che parole come morte, orrore, paura, odio razziale sono i cardini di questo pezzo terribile di storia, ma Shoah vuol dire anche parlare di speranza.
Pensando al nostro presente, alla pandemia, all’incertezza di un futuro ancora tutto da definire, non mi resta che chiudere con queste parole che mi arrivano di un’attualità drammaticamente vera: …” se comprendere è impossibile, conoscere è necessario, perchè ciò che è accaduto può ritornare, le coscienze possono nuovamente essere sedotte ed oscurate: anche le nostre…” (Primo Levi)

A cura di Sandra Vezzani editorialista – Foto Imagoeconomica

Redazione IL POPOLANO

La Cesenate

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