Il naufragio della nave Concordia è avvenuto il 13 gennaio 2012 e causò la morte di 32 persone e il ferimento di altre 157. Nel maggio 2017, il comandante della nave Francesco Schettino è stato condannato in via definitiva a 16 anni di reclusione per omicidio colposo plurimo, naufragio colposo e abbandono della nave. Oggi sconta la sua pena nel carcere romano di Rebibbia.
La sera del 13 gennaio del 2012, alle 21:45, la nave da crociera Costa Concordia urtò le Scole, un gruppo di scogli al largo dell’Isola del Giglio. L’impatto causò un grosso squarcio nello scafo della nave da crociera e il suo parziale affondamento. Nell’incidente, che si aggravò a causa dell’allarme lanciato in ritardo, morirono 32 persone e altre 157 rimasero ferite.
Salpata dal porto di Civitavecchia alle 19 circa, la nave stava viaggiando verso Savona seguendo il percorso programmato della crociera “Profumo d’agrumi“. A bordo c’erano 4.229 persone tra equipaggio e passeggeri. Alcuni si erano imbarcati solo da poche ore, come Williams Arlotti e sua figlia Dayana, morti dopo l’urto della nave. L’impatto contro gli scogli avvenne intorno alle 21:45, quando la nave si trovava davanti all’Isola del Giglio. In quel momento, il comandante Francesco Schettino e i suoi sottoposti stavano effettuando il cosiddetto “inchino“, una serie di manovre che vengono compiute nelle vicinanze di insediamenti costieri come forma di saluto verso chi osserva da terra.
Non si trattava di un evento eccezionale. Come ebbe poi modo di sottolineare l’allora ministro dell’Ambiente Corrado Clini, l’inchino era una “consuetudine” della tradizione marinara seppur molto pericolosa. Quella sera una serie di valutazioni sbagliate e incomprensioni portarono la nave a sbattere sugli scogli, causando un grosso squarcio sullo scafo. “Sono passato sotto qua, ho preso con la poppa un basso fondale“, dice Schettino nella registrazione di una chiamata poi ripresa dai giornali. “Ci stava questo piccolo scoglietto qui“. Per circa un’ora, i passeggeri rimasero a bordo della nave con la luce che andava e veniva, senza ricevere ulteriori indicazioni. Come hanno raccontato alcuni sopravvissuti nelle varie interviste rilasciate, alcune persone urlavano mentre altre erano tranquille, convinte che la situazione sarebbe migliorata. Alcuni erano tornati nelle cabine, altri si erano già recati vicino alle scialuppe. L’ordine di indossare igiubbotti di salvataggio e dirigersi alle cosiddette “muster station” arrivò solo tre quarti d’ora dopo l’impatto, alle 22:33. Qualche minuto prima, dopo una serie di tentennamenti, Schettino aveva anche ammesso alla Capitaneria di porto che la nave aveva una falla e aveva chiesto un rimorchiatore. A questo segnale di emergenza, non seguì subito l’ordine di abbandonare la nave: un ritardo che rese più difficili le operazioni di evacuazione.
Il Direttore responsabile Simone Tripodi – Foto Walter Donega