Real Madrid's Italian coach Carlo Ancelotti gestures during the Spanish league football match Real Madrid CF vs Valencia CF at the Santiago Bernabeu stadium in Madrid on May 9, 2015. The game ended with a draw 2-2. AFP PHOTO/ GERARD JULIEN (Photo credit should read GERARD JULIEN/AFP/Getty Images)

Il calcio da anni è pieno d’iniziative antirazziste studiate a tavolino. Annunci, campagne pubblicitarie, protocolli d’intesa ma nulla sembra cambiare. Dopo Romelo Lukaku (attaccante della Roma), è stata la volta di Mike Maignan (portiere del Milan), ultimo bersaglio preso di mira dall’ignoranza di alcuni pseudo tifosi. Da anni la scritta “respect” appare sui maxischermi degli stadi, ma l’effetto è di una piuma al vento, di un dovere compiuto senza mai credere troppo nel risultato finale. Non ci si può accontentare di fare programmi, in cui nessuno si sporca le mani o si espone. Non funziona se tutto si muove solo dall’alto e a mente fredda, quando le palle – in tutti i sensi – sono ferme. Chiudere gli occhi e le orecchie per non vedere o sentire, per poi nascondere tutti i comportamenti razzisti non sono certo un modo civile di affrontare le cose. In undici anni non è cambiato in sostanza nulla, zero passi avanti, per questo sono indispensabili interventi immediati ed esemplari: sospensione della partita; vittoria a tavolino; penalizzazione in classifica; chiusura a tempo indeterminato della curva incriminata e Daspo a vita. Sanzioni che facciano crescere la civiltà delle tifoserie e in parallelo anche l’educazione dei singoli.

Nel calcio come altrove si educa con l’esempio più che con le prediche. Quando nella Liga è stato insultato a ripetizione un giocatore di colore, Carlo Ancelotti, tecnico del Real Madrid, ha fatto notizia per avere rifiutato di parlare in conferenza stampa di calcio, ma ha voluto trattare il problema del razzismo, ritenendolo più importante di una sconfitta, perché non è ammissibile gridare scimmia o lanciare banane a un giocatore. Se si alzano i toni e ne parlano persone autorevoli, le loro voci fanno notizia e forse qualcosa può cambiare in meglio. Si può sperare che si smetta di ignorare una vergogna che si ripete, nelle curve dove giocano i professionisti ma anche nei campetti di periferia, tra i ragazzini, dove a volte sono proprio i genitori a dare il cattivo esempio.

Se ci si ribella da dentro il campo, dal resto dello stadio, dall’interno della società, senza ambiguità o paraventi, c’è speranza che i violenti, i razzisti, chi di professione insulta – che sono la minoranza – troveranno sicuramente un po’ più scomoda la propria posizione. Il giorno della promozione del Cagliari ha fatto il giro del mondo, il video di Claudio Ranieri, che ancora commosso, è andato sotto la propria curva, non ad applaudirla come a volte contro le regole si fa, ma ad attirare l’attenzione dei propri tifosi per far capire loro senza equivoci che non gradiva che fischiassero la tifoseria avversaria. Il passo in più che ci vorrebbe è forse proprio questo. Fabio Capello, in altri tempi, aveva lanciato un’idea intelligente: la resistenza passiva. In caso di cori razzisti, i giocatori dovrebbero sedersi in campo e aspettare, senza per questo subire delle sanzioni. Così si aiuterebbe il pubblico sano e quelli che fanno i “buuu” potrebbero smetterla e vergognarsi di quello che stanno facendo.

Il vice Direttore Ugo Vandelli – Foto Getty Images repertorio 

Il Vice Direttore Ugo Vandelli

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