CHE COSA È CAMBIATO NEL NOSTRO COMUNICARE POST COVID?

Quando sono arrivate le indicazioni relative al palinsesto settimanale con un articolo su cosa i Covid ha cambiato nei nostri comportamenti e che risvolti avrebbe portato al nostro domani, stavo casualmente rileggendo alcuni vecchi articoli e mi è caduto l’occhio su uno in particolare, dal titolo “una telefonata allunga la vita”.
Era il 1993 ed un condannato a morte, impersonato da Massimo Lopez, chiedeva come ultimo desiderio di poter fare una telefonata, richiesta ovviamente concessa e da li iniziava un vero e proprio tormentone, con il condannato che parlava, parlava e parlava, mentre le ore passavano ed il plotone d’esecuzione si “scioglieva” al sole, senza che si potesse finalmente passare alle vie di fatto.

I primi anni novanta erano ancora quelli del telefono fisso, con tante novità, come il poter mettere una conversazione in attesa e parlare con un secondo interlocutore, cosa che aveva dato origine ad un altro celebre spot, il “mi ami? Ma quanto mi ami?”, chiesto appunto a due diversi interlocutori, senza fare due chiamate; da allora, scrivevo, tutto è cambiato, con il cellulare divenuto un mezzo di comunicazione utilizzato persino in eccesso.

Durante il periodo di blocco da Covid, il telefono è stato strumento indispensabile per i contatti tra persone; il non potersi muovere da casa ha creato notevoli problematiche ed il cellulare, o il computer, ha comunque permesso di raggiungere i propri affetti, gli amici, anche visivamente, così come, in molti casi, di poter svolgere il proprio lavoro senza alcun spostamento.

Comunicare è stato indispensabile, per chi è solo, ma anche per i giovani, i principali utilizzatori del cellulare come mezzo di comunicazione, e scusandomi per la ripetizione.
Proprio i giovani hanno però dato un segnale, oserei dire inatteso, non appena si sono “riaperte” le porte e si è potuto tornare ad uscire; i primi gruppi e gruppetti, i primi assembramenti, che tante reazioni e critiche hanno scatenato, sono opera dei giovani, magari non troppo rispettosi delle regole restrittive e comportamentali ancora in atto, ma che hanno sentito il bisogno di ritrovarsi fisicamente, di parlarsi uno di fronte all’altro e non più attraverso lo schermo di un computer o di un cellulare.

Non solo i giovani si sono ritrovati, ovviamente per tutti è stata una liberazione poter nuovamente uscire, anche noi non senza trasgressioni ed esagerazioni, ma quello che a mio modesto parere più ha colpito e può essere un’indicazione per un futuro diverso dagli schemi previsti ed attesi, insisto nel ritenere il comportamento di ragazzi che si sono ritrovati davanti a qualcosa di imprevisto e difficile da inquadrare proprio perché fuori dagli schemi consueti, dalle abitudini.

La cosa vale per qualunque generazione, ma sono le abitudini con le quali siamo cresciuti ad aver indirizzato i nostri comportamenti; più si va avanti con l’età e più ci siamo “accontentati” di sentire e vedere attraverso uno schermo chi ci mancava fisicamente, abbiamo atteso gli eventi ed anche che, una volta apertosi uno spiraglio, questi diventasse una “certezza”.

Qualcuno dirà sicuramente che si è trattato di buonsenso, di giudizio, ma è davvero così oppure i giovani ci hanno aperto gli occhi sul loro desiderio di un domani che torni ad essere più a dimensione di uomo?

Il Direttore responsabile Maurizio Vigliani – Fotolia

Redazione IL POPOLANO

La Cesenate

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui