Pierpaolo Bisolli con la blusa del Cesena calcio

Nicola Salerno, ai non addetti ai lavori, è un nome che oggi come oggi non dice nulla. “Nisa”, lo pseudonimo con il quale si firmava come paroliere di alcune delle più celebri canzoni italiane composte tra gli anni ’30 e gli anni ’60, in un mondo in cui la memoria storica si è persa come l’innocenza, continua a non identificarlo.

Nel 1956, quando consegnò a Renato Carosone, tra gli altri, il testo di “Tu vuò fà l’americano”, in meno di mezz’ora, il talentuoso cantautore e compositore partenopeo, realizzò il boogie-woogie divenuto, in seguito, un successo universale.

A distanza di 65 anni, Cesena ha conosciuto “americani” del modello “Nisa-Carosone”, modello che può essere letto come una pesante satira al processo di americanizzazione iniziato nei primi anni del dopoguerra e mai terminato. Certo, un tempo, quando negli States e non solo si creavano prodotti letterari, cinematografici e televisivi, ne usciva fuori il classico personaggio uscito dalla penna di Mario Puzo.

Personalmente, preferisco Arturo Bandini, l’aspirante scrittore protagonista di una irrequieta tetralogia firmata da quel genio ribelle che rispondeva al nome di John Fante.

Peraltro, il 18 giugno del 1943 nasceva Raffaella Maria Roberta Pelloni in arte Raffaella Carrà e in questi giorni, a Times Square, nel centro nevralgico di New York, la polpa della Grande mela, una gigantografia celebra l’icona nazionalpopolare della televisione, romagnola doc. Barbara Bertozzi Castelli, storica d’arte, curatrice e mercante d’arte di origini cesenate, oggi è al timone della “Castelli Gallery”, una delle più importanti Gallerie d’Arte del mondo, con sede a New York. Noi, di solito, esportiamo cultura di ogni settore, compreso quello culinario, non vendiamo “americanate” che, notoriamente è un sostantivo che si usa spesso col significato di azione o avvenimento caratterizzato da grandiosità ed esagerazione, secondo quello che si ritiene essere il gusto americano.

Pensare di poter investire dollari nella squadra di calcio di una cittadina provinciale italiana, equivale a creare una campione mondiale dei pesi massimi di carnagione bianca, grazie alla celluloide perché dai tempi di Rocky Marciano i fratelli afroamericani vi rompono sistematicamente le ossa.

Il calcio non ha nulla a che vedere con la cultura yankee dei padri fondatori e del tacchino nel Giorno del Ringraziamento. Io sono sempre stato dalla parte dei nativi, fin da piccolo quando ai soldatini del VII° Cavalleggeri preferivo Sioux, Apache, Cheyenne, Comanche e Navaho. Forse avrete capito che, a mio avviso, il Generale Custer, ha fatto la fine che meritava. Tutto questo per sottolineare che le forze imprenditoriali autoctone per risollevare le sorti della squadra bianconera, non quella che gioca dalle parti di Venaria Reale perché sarebbe una “mission impossible”, ci sono e se ben coordinate, potrebbero creare una squadra come la “Dea” di Bergamo, un modello da imitare, società ideale dai dirigenti ai giocatori passando per l’allenatore, vero faro guida.

Lo stadio non manca e i tifosi, beh quelli ce li invidiano in Premier League. L’uomo giusto per dirigere la società è pronto a “scendere in campo”, ancora una volta, per la squadra che da oltre mezzo secolo, gli fa battere il cuore.

Ora la palla passa all’uomo che spera di entrare nella Top Ten dei dieci uomini più ricchi del Mondo, secondo Forbes.
Whisky & Soda & Rock ‘N’ Roll.

Perché in casa nostra abbiamo un mastino che non molla l’osso, il nostro editore, che non è Cairo, ma che per il Cesena ha dato anima e competenza quando Bisoli non era nessuno, che poi si è dimostrato il cinghiale di Porretta!

A cura di Marco Benazzi – Foto Valerio Casadei

Redazione IL POPOLANO

La Cesenate

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