Mancano ormai due settimane al referendum confermativo indetto dal governo Renzi.
Per chi non lo sapesse, confermativo significa che se vince il si, il quesito assume effetto.
Forse però alcuni punti di questo referendum sono ancora d chiarire.
Entrando nel merito, il quesito chiede il superamento del bicameralismo paritario, la riduzione del numero dei parlamentari, il contenimento dei costi di funzionamento delle istituzioni, l’abolizione del CNEL e la revisione della parte 2 del titolo quinto della Costituzione.
In Italia c’è da sempre stato un bicameralismo paritario, in cui le due camere hanno svolto le stesse funzioni.
Ecco perchè Renzi vuole fare un passo avanti rispetto a questo sistema, andando a ridurre il numero dei senatori.
Senatori che da 315 si ridurranno a 100.
Questo significa riduzione della spesa pubblica, certamente, anche se ancora non si può stimare di quanto.
E significa anche diversificare i compiti delle due camere.
Dovesse passare il si, la Camera, sarebbe l’unica in grado di dare la fiducia al governo, di approvare le leggi di bilancio e quelle ordinarie.
Inoltre cambierebbe la modalità d’elezione del Presidente della Repubblica, al quale parteciperanno solo le camere in seduta comune e non più i delegati regionali.
Inoltre, se come dice la sinistra, il processo dovesse servire per velocizzare la produzione normativa, non sarebbe questo il metodo in quanto il senato su diverse materie continuerà a legiferare insieme alla Camera, il che significa che il procedimento di navette non sarà annullato.
Dovesse vincere il si il nuovo Senato sarà composto da: 74 consiglieri regionali,21 sindaci, 5 senatori in carica per 7 anni, nominati dal presidente della Repubblica.
E qui si apre una questione che fa molto discutere, ossia la presunta perdita di sovranità popolare diretta.
Si, perchè c’è chi da un lato pensa che non sia giusto che questi nuovi Senatori, prima eletti con voto popolare, con la nuova riforma verranno scelti all’interno delle assemblee regionali tra i consiglieri e i sindaci di regione.
D’altro canto, affermano i sostenitori del si, i rappresentanti regionali, sindaco compreso, vengono eletti dal popolo e quindi la sovranità non è smarrita, semplicemente diventa indiretta. Ciò che però non viene detto, anzi accuratamente celato, sono i due problemi emergenti da questa nuova situazione, qualora dovesse vincere il si.
Il primo è che in questo modo presumibilmente si avrebbe un Senato maggioritario, cioè di sinistra, siccome la sinistra è il partito che ha più regioni e di conseguenza quello che avrà più rappresentanti in Parlamento e quindi maggior autonoma decisionale.
E questo andrebbe ad inficiare le decisioni, togliendo quasi ogni possibilità alle minoranze presenti di controbattere.
Il vero problema però è un altro.
Se i consiglieri regionali, o peggio i sindaci, dovessero salire al senato, chi svolgerebbe la loro funzione nel momento in cui si trovano in Parlamento?
A questo nessuno è stato ancora in grado di dare risposta, nemmeno Renzi che aveva detto che avrebbero potuto svolgere la doppia funzione senza difficoltà alcuna, per poi non tornare più sul discorso.
Contenere i costi di funzionamento delle istituzioni significa, in sostanza abolire le province.
Certo così i costi verrebbero contenuti e di brutto, ma i posti di lavoro persi come vengono recuperati?
Certamente un vantaggio di votare si alla riforma è l’abolizione del CNEL(Consiglio Nazionale Economia Lavoro), nato nel 1957, e che si dovrebbe occupare di politica economica e sociale.
Ma l’ente in questi anni è costato più di quanto abbia dato risorse, senza contare che le sue funzioni possono essere svolte anche da altri enti, con ingente risparmio della spesa pubblica.
Con il cambiamento del titolo V parte II della costituzione, cambierà qualcosa nello statuto delle regioni speciali e i rapporti di poteri tra regione e Stato.
Il referendum non richiede quorum, il che significa che vince il si se i più votano si e viceversa.
In fase di campagna elettorale, a Cesena hanno parlato il Professor Pasquino, esponente del no e l’ex deputato Castagnetti promotore del si.
Il dibattito di martedì sera è stat abbastanza deludente, nessuno dei due ha pienamente convinto ma certamente, Pasquino è entrato maggiormente nel merito.
Dovesse vincere il no, altra questione da smentire, non è vero che Renzi, come in molti sostengono si dimetterà. Certo sarebbe un atto appropriato, ma c’è da scommetterci, specie dopo le parole di oggi del Premier che non succederà.
La battaglia è apertissima.

A cura di Giacomo Biondi

Redazione IL POPOLANO

La Cesenate

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