Numero di nuovi nati e di neomamme in calo, gap di genere nel mondo del lavoro che condiziona la natalità, 1 famiglia su 4 con figli a rischio povertà e, nonostante il sentimento  di gioia per la maternità sia prevalente nella grandissima maggioranza delle madri, il 43% dichiara di non desiderare altri figli: tra le cause la fatica (40%), difficile conciliazione lavoro/famiglia (33%), mancanza di supporto (26%), scarsità dei servizi (26%).

Per l’ottavo anno consecutivo Save the Children ha realizzato e diffuso il rapporto ”Le  Equilibriste – La maternità in Italia 2023”, un’indagine dalla quale emerge il quadro di una “Italia a rischio futuro” e la necessità di mettere, quanto prima, politiche concrete e investimenti.   ‘Sappiamo che dove le donne lavorano di più nascono anche più bambini, con un legame tra maggiore fecondità e posizione lavorativa  stabile di entrambi i partner. Tuttavia, la condizione lavorativa  delle donne, e in particolare delle madri, nel nostro Paese è ancora  ampiamente caratterizzata da instabilità e precarietà, a cui si aggiungono la carenza strutturale di servizi per l’infanzia, a partire dalla rete di asili nido sul territorio, e la mancanza di politiche  per la promozione dell’equità nel carico di cura familiare”, dichiara Antonella Inverno, responsabile Politiche Infanzia e Adolescenza dell’organizzazione. “I provvedimenti approvati negli ultimi anni, pur andando nella giusta direzione, non sono che timidi passi sul fronte del sostegno alla genitorialità – sottolinea – Non possiamo permetterci di perdere l’occasione del Piano nazionale ripresa e resilienza per costruire finalmente una rete capillare di servizi per la prima infanzia ed è altrettanto necessario andare con più forza verso un congedo di paternità paritario rispetto a quello delle madri. L’Italia è un paese a rischio futuro, e se è vero che il trend di denatalità non può essere invertito velocemente, è ancor più vero che è quanto mai urgente invertire il trend delle politiche a sostegno della genitorialità per non perdere altro tempo prezioso”.

Oltre al calo si assiste anche a un progressivo rinvio della natalità: le donne in Italia diventano madri sempre più tardi.  Confrontando i dati di oggi con quelli del 1995 e del 2010 vediamo che è cresciuta la fecondità nelle età superiori ai 30 anni e che la  tendenza al recupero (ovvero le nascite che avvengono ad età più  avanzate da parte di chi ha posticipato l’arrivo di figli), si ha solo a partire dai 35 anni. L’età media al parto rispetto al 1995 è di due  anni più alta, e oggi raggiunge i 32,4 anni. Nel 2021, inoltre, l’età  al primo figlio si è spostata di tre anni rispetto a quanto succedeva  nel 1995, posizionandosi ora a 31,6 anni, con età più avanzate  specialmente al Centro Italia.

Il rapporto di Save the Children rileva poi il calo delle nascite anche da madri straniere. I nati da almeno un genitore straniero sono passati da 107.339 nel 2012 a 85.878 nel 2021. I nati da entrambi i genitori stranieri sono passati da 79.894 nel 2012 a 56.926 nel 2021 con i tassi di fecondità calati da 2,18 a 1,87.

Per quel che riguarda il divario lavorativo tra uomini e donne , nel 2022 si è attestato al 17,5%, ma è ben più ampio in presenza di bambini: nella fascia di età 25-54 anni se c’è un figlio minore, il tasso di occupazione per le mamme si ferma al 63%, contro il 90,4% di quello dei papà, e con due  figli minori scende fino al 56,1%, mentre i padri che lavorano sono  ancora di più (90,8%), con un divario che sale a 34 punti percentuali.

Pesano anche, e molto, differenze geografiche e titoli di studio. Nel  Mezzogiorno l’occupazione delle donne con figli si ferma al 39,7%  (46,4% se i figli non ci sono), contro il 71,5% del Nord (78,9% senza  figli), e in Italia le madri laureate lavorano nell’83,2% dei casi, ma le lavoratrici sono molte meno tra chi ha il diploma della scuola superiore (60,8%) e precipitano al 37,4% se c’è solo la licenza media. Quando il lavoro per le donne c’è, un terzo delle occupate ha un contratto part-time (32% dei casi contro il 7% degli uomini); se ci sono figli minorenni la quota sale al 37%, a fronte del 5,3% dei  padri, e con una metà quasi di queste mamme (15%) che si è vista  costretta ad un part-time involontario, che non ha scelto.

A cura di Elisabetta Turci – Foto Imagoeconomica

Redazione IL POPOLANO

La Cesenate

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