Sono passati quarantatré anni e ancora non riesco a dimenticare quello straziante intervento alla stazione ferroviaria di Bologna. Come ogni anno sarò presente alle commemorazioni, per essere vicino alla gente della mia città. La mattina del 2 agosto 1980, alle 10.25, una valigia contenente un ordigno a tempo, depositata nella sala d’aspetto della stazione ferroviaria di Bologna esplose, causando una vera strage: si contarono 85 morti e 200 feriti tra i quali numerosi rimasero mutilati.

La carica esplosiva era stata miscelata con cura professionale per essere micidiale e devastante, così da causare il maggior danno possibile: infatti, fece crollare l’ala ovest dell’edificio mentre l’onda d’urto investì il treno che in quel momento era in sosta sul primo binario, distruggendo trenta metri di pensilina e il parcheggio antistante quella parte della stazione. Si è trattato dell’ultimo e più grave episodio per conseguenze e vittime di una serie di attentati che investirono il Paese.


Dall’esplosione avvenuta dentro la Banca Nazionale dell’Agricoltura di Piazza Fontana a Milano il 12 dicembre 1969; alla bomba deflagrata in Piazza della Loggia a Brescia il 28 maggio 1974; seguita due mesi dopo dall’attentato al treno Italicus nella notte tra il 3 e il 4 agosto dello stesso anno, mentre il convoglio stava transitando a San Benedetto Val di Sambro (Bo).

Se l’esplosione fosse avvenuta in una delle numerose gallerie di quella tratta, le conseguenze sarebbero state ben più gravi delle dodici morti accertate. Ciò avvenne dieci anni dopo, il 23 dicembre 1984 per la “strage del treno di Natale”, il Rapido 904 che si sventrò per una bomba a tempo dentro la “Grande galleria dell’Appennino” causando sedici vittime. L’esplosione alla stazione di Bologna s’inserisce dunque a pieno titolo in quella lunga scia di attentati che attraversarono il nostro Paese negli anni 70-80 e che furono ascritti a una mirata “strategia della tensione”, volta a colpire inermi cittadini, a seminare panico, morte e distruzione tra i civili ma con effetti devastanti sulle istituzioni democratiche e sulla stessa attendibilità di alcuni apparati dello Stato.

Attorno alle stragi, si sono sviluppate un cumulo di menzogne, depistaggi, affermazioni vere e false, come per altri tragici avvenimenti che avevano attraversato la storia della “Prima Repubblica”.

Senza dimenticare la stagione della guerra armata condotta dalle Brigate Rosse culminata con l’assassinio del Presidente Aldo Moro, avvenuto il 9 maggio 1978. A distanza di tanti anni restano molti interrogativi che non sono e, sicuramente, non saranno mai chiariti. All’epoca ero un giovane brigadiere di pubblica sicurezza, comandante del quarto plotone allievi del Centro Addestramento Polizia Stradale di Cesena. In quell’afosa mattinata estiva ero impegnato nelle attività di formazione del personale. Poco dopo le undici fu comunicata tramite altoparlante la “permanenza”. Avviso che anticipava l’immediata partenza per un servizio di ordine pubblico sul territorio nazionale. In quegli anni le uscite con il Reparto erano frequenti, senza mai conoscerela durata dei servizi. Nella fattispecie la destinazione per i circa quattrocento agenti fu la stazione di Bologna. Fummo il primo reparto inquadrato ad arrivare nel capoluogo emiliano, a parte ovviamente i presidi territoriali, già tutti impegnati in una febbrile quanto dolorosa opera di soccorso. Le persone che ricordo di avere soccorso fisicamente e anche psicologicamente, mi domandavano quale inferno si fosse spalancato sotto di loro mentre si attendevano notizie riguardo ai propri cari.

Le novità, sulle varie ipotesi della tragedia, così come le informazioni per i famigliari, parenti, amici e conoscenti, all’epoca circolavano molto lentamente.
Rimanemmo a Bologna una decina di giorni. Sono sicuro che la mia città da allora non sia stata più quella aperta, gioviale e gioiosa degli anni sessanta, ma che da allora è diventata più chiusa, più preoccupata. Credo non si sia più ripresa!

Il vice Direttore Ugo Vandelli – Foto Redazione

Il Vice Direttore Ugo Vandelli

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