I BAMBINI DELL'ISTITUTO COMPRENSIVO MANIN DI ROMA SVENTOLANO IL TRICOLORE AL TERMINE DELL'ESECUZIONE DELL'INNO DI MAMELI

Parte prima

Il Canto degli Italiani, conosciuto anche come Fratelli d’Italia, Inno di Mameli, Canto nazionale o Inno d’Italia, è un canto del risorgimento scritto da Goffredo Mameli e musicato da Michele Novaro nel 1847.

Dal 14 dicembre 2017 è ufficialmente “Inno Nazionale della Repubblica Italiana” (Gazzetta Ufficiale: Legge nº 181 del 4 dicembre 2017)

Il testo si compone di sei strofe e di un ritornello che si alterna alle stesse ed è musicato in tempo di 4/4 nella tonalità di “si bemolle maggiore”. La sesta strofa riprende, con poche variazioni, il testo della prima.

Il canto fu molto popolare durante il Risorgimento e nei decenni seguenti, sebbene dopo l’Unità d’Italia nel 1861 come inno del Regno d’Italia fosse stata scelta la Marcia Reale, brano ufficiale di Casa Savoia. Il Canto degli Italiani era infatti considerato inadatto alla situazione politica dell’epoca: Fratelli d’Italia, di chiara connotazione repubblicana e giacobina mal si conciliava con l’esito del Risorgimento, che fu di stampo monarchico.

Dopo la 2da guerra mondiale, l’Italia diventò una Repubblica e il Canto degli Italiani fu scelto, il 12 ottobre 1946, come inno nazionale provvisorio, ruolo che ha conservato anche in seguito rimanendo inno “de facto” della stessa. Nei decenni si sono susseguite varie iniziative parlamentari per renderlo inno nazionale ufficiale, fino a giungere alla legge nº 181 del 4 dicembre 2017, che ha dato al Canto degli Italiani lo “status” di inno nazionale “de iure”!

La storia: In un contesto storico caratterizzato da quel patriottismo diffuso che già preannunciava i moti del 1948 e la prima guerra di indipendenza, il testo del Canto degli Italiani fu scritto dal genovese Goffredo Mameli, allora giovane studente e fervente patriota. Occorre fare memoria che, secondo la tesi dello storico A. Aldo Mola, l’autore del testo del Canto degli Italiani, troppo complesso per un giovane studente, sarebbe in realtà il suo dotto insegnante Atanasio Canata, anche se questa ipotesi è rigettata dalla maggioranza degli storici e pertanto “discutibile e non provata”!

Sulla data precisa della stesura del testo le fonti sono discordi: secondo alcuni studiosi l’inno fu scritto da Mameli il 10 settembre 1847, mentre secondo altri la data di nascita del componimento fu due giorni prima, l’8 settembre. Tra i sostenitori di questa datazione ci fu Giosuè Carducci, che riassunse così il particolare momento storico da cui scaturì il Canto degli Italiani: “Fu composto l’8 settembre del 47, all’occasione di un primo moto di Genova per le riforme e la guardia civica; e fu ben presto l’inno d’Italia, l’inno dell’unione e dell’indipendenza, che risonò per tutte le terre e su tutti i campi di battaglia della penisola nel 1848 e 49”.

Dopo aver scartato l’idea di adattarlo a musiche già esistenti, il 10 novembre 1847 Mameli inviò il testo dell’inno a Torino per farlo musicare dal compositore genovese Michele Novaro, che ne fu subito conquistato e che quella sera stessa si mise a musicarlo. Così ricordò Anton Giulio Barrili, patriota e scrittore, nel 1902 le parole dettegli personalmente da Novaro nell’aprile 1875 sulla nascita della musica del Canto degli Italiani: “Mi posi al cembalo, coi versi di Goffredo sul leggio, e strimpellavo, assassinavo colle dita convulse quel povero strumento, sempre cogli occhi all’inno, mettendo giù frasi melodiche, l’una sull’altra, ma lungi le mille miglia dall’idea che potessero adattarsi a quelle parole. Mi alzai, scontento di me; mi trattenni ancora un po’ di tempo in casa Valerio, ma sempre con quei versi davanti agli occhi della mente. Vidi che non c’era rimedio; presi congedo, e corsi a casa. Là, senza pure levarmi il cappello, mi buttai al pianoforte. Mi tornò alla memoria il motivo strimpellato in casa Valerio: lo scrissi su d’un foglio di carta, il primo che mi venne alle mani: nella mia agitazione rovesciai la lucerna sul cembalo, e per conseguenza anche sul povero foglio: fu questo l’originale dell’inno “Fratelli d’Italia“.

Mameli, che era repubblicano, giacobino e sostenitore del motto nato dalla Rivoluzione Francese – Libertè, Egalitè, Fraternitè – per scrivere il testo del Canto degli Italiani si ispirò all’inno nazionale francese, “La Marsigliese”.

Anche l’Inno nazionale greco, composto nel 1823, fu uno dei brani a cui si ispirò Mameli per il suo canto: in entrambi i componimenti sono infatti contenuti dei riferimenti all’antichità classica che è vista come esempio da seguire per affrancarsi dal dominio straniero, e dei richiami alla combattività, che è necessaria per poter ambire alla riconquista della libertà.

L’Italia è anche citata nell’inno nazionale polacco, “La Mazurka di Dabrowskila” scritta da Jozef Wybicki a Reggio Emilia nel 1797, in epoca napoleonica.

Nella stesura originaria del Canto degli Italiani, era presente un’ulteriore strofa che era dedicata alle donne italiane. La strofa, eliminata dallo stesso Mameli prima del debutto ufficiale dell’inno, recitava: “Tessete o donzelle / bandiere e coccarde / fa l’alme gagliarde / l’invito d’amor”.

Sempre nella versione originaria dell’inno, il primo verso della prima strofa recitava “Evviva l’Italia”; Mameli lo cambiò poi in “Fratelli d’Italia”, come si legge già nell’autografo che il 10 novembre 1847 inviò a Michele Novaro. Quest’ultimo, quando ricevette il manoscritto definitivo di Mameli per musicarlo, apportò alcune modifiche al testo e aggiunse anche un reboante “Sì!” alla fine del ritornello.  

L’inno era già pronto per essere reso “di pubblica ragione” il 4 dicembre 1847 a Torino tra gli altri componimenti poetici composti in occasione del ritorno di Carlo Alberto da Genova, dove si era recato il 4 novembre. Così come ne parla la cronaca contemporanea de “Il Mondo illustrato”, diretto da Giuseppe Massari, in data 4 dicembre: “La poesia però che per lo splendore delle immagini, per la novità originale davvero del concetto, pel vigore del sentimento e per la naturale e spontanea armonia del ritmo vince al paragone tutte le altre e sopravviverà alle ingiurie del tempo ed alla dimenticanza dei secoli è l’inno nazionale dettato dal giovane Mameli genovese, che verrà reso di pubblica ragione in questi giorni. È vero inno nazionale, è inno italiano, sarà il nostro Peana. I versi del Mameli trovarono degno interprete nell’egregio genovese, maestro Novaro, il quale seppe vestirli di melodiosa e magica veste musicale. Noi ascoltammo alcune sere or sono il canto dell’inno del Mameli colla musica del Novaro e ne fummo profondamente commossi”.

Ma in tale occasione fu invece cantato l’inno di Giuseppe Bertoldi “La coccarda”.

Il Canto degli Italiani dunque debuttò pubblicamente il 10 dicembre 1847 a Genova, quando, sul piazzale del Santuario di Nostra Signora di Loreto, nel quartiere Oregina fu presentato alla cittadinanza in occasione della “commemorazione del centenario della rivolta di Portoria  contro gli occupanti asburgici durante la Guerra di successione austriaca; nell’occasione, venne suonato dalla “Filarmonica Sestrese” – all’epoca banda municipale di Sestri Ponente – davanti a molti di quei 30.000 patrioti provenienti da tutta Italia che erano convenuti a Genova per la manifestazione.

Sembra inoltre che ci fu una precedente esecuzione pubblica, di cui si è persa la documentazione originale, da parte della Filarmonica Voltrese – fondata da Nicola Mameli, fratello di Goffredo] – il 9 novembre 1847 sempre a Genova

Le prime edizioni a stampa del testo di Mameli furono pubblicate su fogli volanti da varie tipografie genovesi e vennero distribuite il 10 dicembre 1847 a coloro che presero parte al corteo di festa nel quartiere di Oregina.

Essendo il suo autore notoriamente mazziniano, il brano venne proibito dalla polizia sabauda fino al marzo 1848: la sua esecuzione venne vietata anche dalla polizia austriaca, che perseguì pure la sua interpretazione canora – considerata reato politico – sino alla fine della 1ma Guerra mondiale!

Tuttavia il 18 dicembre 1847 il giornale “L’Italia” di Pisa pubblicava la seguente notizia, inviata dal corrispondente da Torino in data 12 dicembre: “Da molte sere numerosa gioventù si raduna nel locale dell’accademia filodrammatica a cantare un inno all’Italia del cav. Mameli, posto in musica dal maestro Novaro; la poesia è piena di fuoco; la musica vi corrisponde pienamente”.

I manoscritti autografi di Mameli giunti fino ai giorni nostri sono due: il primo, quello originale che attesta la prima stesura, si trova presso l’Istituto Mazziniano di Genova mentre il secondo, quello datato 10 novembre 1847 e mandato da Mameli a Novaro, è conservato al Museo del Risorgimento di Torino.

Invece, gli “autografi” della partitura di Novaro sono tre: il primo, da lui dedicato «Alla mia diletta città di Torino», è custodito nel museo torinese; il secondo, databile al 1849, è conservato nel museo genovese; il terzo, quello che Novaro inviò all’editore Francesco Lucca il 27 ottobre 1859, si trova invece a Milano presso l’Archivio Storico dei Ricordi!

Le prime critiche al Canto degli Italiani furono rivolte da Giuseppe Mazzini. In particolare, il patriota genovese considerava la musica del Canto degli Italiani troppo poco marziale e ne contestava anche il testo, per cui commissionò nel 1848 un nuovo brano a Mameli, dando l’incarico a Verdi di musicarlo, il cui titolo era “Suona la tromba”. La prima strofa di questo componimento recita: “Suona la tromba — ondeggiano / le insegne gialle e nere. / Fuoco, per Dio, sui barbari, / sulle vendute schiere! / Già ferve la battaglia: / al Dio dei forti, osanna! / Le baionette in canna: / è l’ora del pugnar”.

Anche questo nuovo canto non ottenne però i favori di Mazzini, e fu quindi il Canto degli Italiani a diventare l’inno simbolo del Risorgimento.  

Quando debuttò il “Canto degli Italiani”, mancavano pochi mesi ai “moti del 1948”.

Poco prima della promulgazione dello “Statuto Albertino” era stata abrogata una legge coercitiva che vietava gli assembramenti formati da più di dieci persone. Da questo momento in poi, il Canto degli Italiani conobbe un crescente successo anche grazie alla sua orecchiabilità, che ne facilitò la diffusione tra la popolazione.

Con il passare del tempo, l’inno fu sempre più diffuso e venne cantato quasi in ogni manifestazione, diventando uno dei simboli del Risorgimento. Il brano fu infatti cantato diffusamente dagli insorti in occasione delle “Cinque giornate di Milano” del 1848 e venne intonato frequentemente durante i festeggiamenti per la promulgazione, da parte di Carlo Alberto di Savoia dello Statuto Albertino (sempre nel 1848).

Anche la breve esperienza della Repubblica Romana (1949) ebbe, tra gli inni più intonati dai volontari, il Canto degli Italiani, con Giuseppe Garibaldi che fu solito canticchiarlo e fischiettarlo durante la difesa di Roma e la fuga verso Venezia.

Quando il Canto degli Italiani diventò popolare, le autorità sabaude censurarono la quinta strofa, estremamente dura verso gli austriaci; tuttavia dopo la dichiarazione di guerra all’Austria e l’inizio della 1ma guerra d’indipendenza (1848-1849), i soldati e le bande militari sabaude lo eseguivano così frequentemente che re Carlo Alberto fu costretto a ritirare ogni censura. L’inno era infatti diffusissimo, soprattutto tra le file dei volontari repubblicani, che lo associavano al canto risorgimentale “Addio mia bella addio”.

Il Canto degli Italiani fu uno dei brani più popolari anche durante la 2da guerra d’indipendenza (1859), questa volta insieme al canto risorgimentale “La bella Gigogin” e “Va pensiero” di Giuseppe Verdi.  Ricordiamo anche che fu uno dei canti più intonati anche durante la spedizione dei Mille (1860), con la quale Garibaldi conquistò il Regno delle Due Sicilie”

Dopo l’Unità d’Italia (1861) come inno nazionale fu scelta la “Marcia Reale” composta nel 1831: la decisione fu presa perché il Canto degli Italiani, che aveva contenuti troppo poco conservatori ed era caratterizzato da una decisa impronta repubblicana e giacobina, non si combinava con l’epilogo del Risorgimento, di matrice monarchica. I riferimenti al credo repubblicano di Mameli – che era difatti mazziniano – erano però più di carattere storico che politico; di contro, il Canto degli Italiani era malvisto anche dagli ambienti socialisti e anarchici, che lo consideravano invece all’opposto, cioè troppo poco rivoluzionario.

Nel 1862 Giuseppe Verdi, nel suo “Inno delle Nazioni” composto per l’Esposizione Universale di Londra, affidò al Canto degli Italiani (e non alla Marcia Reale) la funzione di rappresentare l’Italia, autorevole segnale del fatto che non tutti gli italiani individuavano nella Marcia Reale l’inno che esprimeva meglio il sentimento di unità nazionale.

Di conseguenza, il Canto degli Italiani, in questa occasione, fu suonato insieme a “God save the Queen” e alla “Marsigliese”.

Anche il patriota e politico Giuseppe Massari, che divenne in seguito uno dei più importanti biografi di Cavour, prediligeva, come canto rappresentativo dell’unità nazionale, il Canto degli Italiani. L’unico inno nazionale presente nel componimento di Verdi era “God Save the Queen”: La Marsigliese, dai forti connotati repubblicani, non era ancora il canto ufficiale dello Stato francese, che all’epoca era una monarchia reta da Napoleone III.

Anche la “presa di Roma” del 20 settembre 1870, fu accompagnata da cori che lo intonavano insieme alla Bella Gigogin e alla Marcia Reale nell’occasione.

Il Canto degli Italiani venne spesso eseguito anche dalla “fanfara dei Bersaglieri” e anche dopo la fine del Risorgimento era insegnato nelle scuole e divenne molto popolare tra gli italiani che lo affiancavano ad altri brani musicali che erano collegati alla situazione politica e sociale dell’epoca come, ad esempio, “l’Inno dei Lavoratori” o “Addio Lugano” in quanto avevano un significato più legato ai problemi quotidiani.

Il Canto degli Italiani”, grazie ai riferimenti al patriottismo e alla lotta armata, tornò ad avere successo durante la Guerra Italo-Turca (1911-1912), dove si affiancò ad “A Tripoli” e nelle trincee della 1ma guerra mondiale (1915-1918). In tale periodo presero forza le canzoni patriottiche come “La leggenda del Piave”, “La canzone del Grappa” e “La campana di San Giusto”!

Poco dopo l’entrata in guerra dell’Italia nel primo conflitto mondiale, il 25 luglio 1915, Arturo Toscanini eseguì il Canto degli Italiani durante una manifestazione interventista!

Nel 1916 il poeta e regista Nino Oxilia diresse il film muto “L’Italia se desta!, il cui titolo riprende il secondo verso del Canto degli Italiani. La proiezione della pellicola cinematografica veniva accompagnata da una orchestra con coro che eseguiva gli inni patriottici classici più famosi del tempo: l’Inno di Garibaldi, il Canto degli Italiani, il coro del “Mosè in Egitto” di Gioacchino Rossini e i cori del “Nabucco” e dei “Lombardi alla prima crociata” di Giuseppe Verdi.   

Dopo la Marcia su Roma (1922) assunsero grande importanza i canti prettamente fascisti come “Giovinezza” (Inno Trionfale del Partito Nazionale Fascista), i quali vennero diffusi e pubblicizzati molto capillarmente, oltreché insegnati nelle scuole e in questo contesto le melodie non fasciste furono scoraggiate così come il Canto degli Italiani.

Nel 1932 il segretario del Partito Nazionale Fascista, Achille Starace, decise di proibire i brani musicali che non inneggiassero a Benito Mussolini e, più in generale, quelli non legati direttamente al fascismo. La direttiva di Starace recitava: “Vieto in modo assoluto che si cantino canzoni o ritornelli che non siano quelli della Rivoluzione e che contengano riferimenti a chiunque non sia il DUCE”.

Furono così vietati i brani giudicati sovversivi, cioè quelli di stampo anarchico o socialista, come “l’Inno dei lavoratori” o “L’internazionale” e gli inni ufficiali delle nazioni straniere non simpatizzanti col fascismo, come “La Marsigliese”.

Dopo la firma dei Patti Lateranensi tra il Regno d’Italia e la Sante Sede (1929), furono vietati anche i brani anticlericali mentre i canti risorgimentali furono comunque tollerati, anche se il “Canto degli Italiani” era vietato nelle cerimonie ufficiali.

Nello spirito di questa direttiva, vennero invece incoraggiati canti come l’inno nazista “Horst-Wessel-Lied” e il canto franchista “Cara al sol” .

Durante la 2da Guerra Mondiale vennero diffusi, anche via radio, brani fascisti composti da musicisti di regime: furono quindi pochissimi i canti nati spontaneamente tra la popolazione.

Negli anni del secondo conflitto bellico erano comuni brani come “A primavera viene il bello”, “Battaglione M”, “Vincere! “e “Camerata Richard,” mentre, tra i canti nati spontaneamente, il più famoso fu “Sul Ponte di Perati”.

Dopo l’Armistizio dell’8 settembre 1943 il Governo italiano adottò provvisoriamente come inno nazionale, in sostituzione della Marcia Reale, “La canzone del Piave”.

In questo contesto “Il Canto degli Italiani – Fratelli d’Italia”, insieme agli altri canti risorgimentali e alle canzoni partigiane, tornò a riecheggiare nell’Italia meridionale liberata dagli Alleati e nelle zone controllate dai partigiani a nord del fronte di guerra incontrando un buon successo negli ambienti antifascisti dove si affiancò alla canzone partigiana “Fischia il vento”.

Alcuni studiosi reputano che il successo del brano negli ambienti antifascisti sia stato poi determinante per la sua scelta a inno provvisorio della Repubblica Italiana.

Spesso il Canto degli Italiani viene erroneamente indicato come l’inno nazionale della Repubblica Sociale Italiana di Benito Mussolini. Tuttavia è documentata la mancanza di un inno nazionale ufficiale della RSI: nelle cerimonie veniva infatti spesso veniva eseguito più che altro per fini propagandistici, al posto di Giovinezza.

Nel 1945, a guerra terminata, Arturo Toscanini diresse a Londra l’esecuzione dell’Inno delle Nazioni composto da Verdi nel 1862 e comprendente anche il Canto degli Italiani.

Per la scelta dell’inno nazionale si aprì un dibattito che individuò, tra le opzioni possibili: il “Va, pensiero” dal Nabucco di Verdi, il “Canto degli Italiani”, “l’Inno di Garibaldi”, la conferma della “Canzone del Piave” oppure la stesura di un brano musicale completamente nuovo.

La canzone del Piave ebbe quindi la funzione di inno nazionale della Repubblica Italiana fino al Consiglio dei Ministri del 12 ottobre 1946, quando Cipriano Facchinetti comunicò ufficialmente che durante il giuramento delle Forze Armate del 4 novembre, quale inno provvisorio, si sarebbe adottato il Canto degli Italiani. Il comunicato recitava che:“Su proposta del Ministro della Guerra si è stabilito che il giuramento delle Forze Armate alla Repubblica e al suo Capo si effettui il 4 novembre p.v. e che, provvisoriamente, si adotti come inno nazionale l’inno di Mameli”.

Facchinetti dichiarò, altresì, che si sarebbe proposto uno schema di decreto che avrebbe confermato il Canto degli Italiani quale inno nazionale provvisorio della neonata Repubblica, intenzione che, però, non ebbe seguito in quanto Il consenso sulla scelta del Canto degli Italiani non fu unanime: dalle colonne de l’Unità, quotidiano del Partito Comunista Italiano, fu proposto, come brano musicale nazionale, l’Inno di Garibaldi. La Sinistra italiana considerava infatti, quale figura di spicco rappresentativa del Risorgimento, Garibaldi e non Mazzini, che era reputato di secondo piano rispetto all’eroe dei due mondi.

Facchinetti propose di ufficializzare il Canto degli Italiani nella Costituzione, in preparazione proprio in quel momento, ma senza esito. La Costituzione, entrata in vigore nel 1948, sancì infatti, nell’articolo 12, l’uso del Tricolore come bandiera nazionale, ma non stabilì quale sarebbe stato l’inno, e nemmeno il simbolo della Repubblica, che fu poi adottato con decreto legislativo datato 5 maggio 1948. Nondimeno, l’approvazione definitiva della Costituzione, avvenuta il 22 dicembre 1947 ad opera dell’Assemblea Costituente, fu salutata dal pubblico che assisteva alla seduta dalle tribune (e in seguito anche dai padri costituenti), con una spontanea esecuzione proprio del Canto degli Italiani.

Un disegno di legge costituzionale preparato nell’immediato dopoguerra, il cui obiettivo finale era l’inserimento, nell’articolo 12, del comma “L’inno della Repubblica è Fratelli d’Italia” non ebbe seguito, come pure l’ipotesi di un “decreto presidenziale che emanasse un’apposita disciplinare.

La mancata ufficialità del Canto degli Italiani fu fonte di confusione nei primi anni della Repubblica: nel 1947 nelle cerimonie ufficiali esso si alternava alla Leggenda del Piave e all’Inno di Garibaldi, e ciò indusse il capo di gabinetto del ministro della difesa a chiedere formalmente alla presidenza del Consiglio a quale dei tre inni i militari dovessero presentare le armi. Analoga richiesta fu formulata dal presidente del CONI in vista delle Olimpiadi del 1948. L’incertezza fu causa d’imbarazzo in qualche evento all’estero, in cui i corpi musicali del luogo eseguirono la Marcia Reale, come sarebbe accaduto ancora nel 1959 in un incontro di calcio Inghilterra-Italia.

Il Canto degli Italiani ha poi avuto un grande successo tra gli “Emigranti italiani”. Spartiti di Fratelli d’Italia si possono infatti trovare, insieme al Tricolore, in molti negozi delle varie “Little Italy” sparse nel mondo anglosassone. L’inno nazionale italiano è stato la “colonna sonora” delle raccolte fondi destinate alla popolazione italiana uscita devastata dal conflitto, che furono organizzate nel secondo dopoguerra nelle Americhe.

Dopo il raggiungimento dello “Status” di inno nazionale provvisorio, il Canto degli Italiani iniziò ad essere oggetto di critiche, tant’è che a più riprese si parlò della sua sostituzione.

Negli anni 1950 fu deciso di effettuare un sondaggio radiofonico per stabilire quale brano musicale avrebbe dovuto sostituire il Canto degli Italiani come inno nazionale italiano: in questa inchiesta, che comunque non decretò il cambio ufficiale dell’inno per via del poco successo ottenuto, vinse il Va, pensiero di Verdi. Poco dopo il sondaggio citato, fu bandito un concorso pubblico per la stesura di un brano completamente nuovo che avrebbe dovuto sostituire il Canto degli Italiani: l’intenzione era quella di avere un inno ritenuto più moderno e di maggiore caratura culturale, ma questo bando non ebbe seguito a causa della scarsa qualità delle composizioni musicali pervenute.

Nel 1960 la RAI, in un programma televisivo, lanciò un sondaggio per scegliere il brano musicale che avrebbe dovuto sostituire il Canto degli Italiani come inno nazionale italiano; le opzioni presentate furono però tutte bocciate dal pubblico.

Le critiche continuarono anche nei decenni seguenti; a partire dal ‘68, il Canto degli Italiani fu progressivamente oggetto di disinteresse collettivo e – molto spesso – di una vera e propria avversione. Dati i suoi richiami alla lotta armata e alla Patria, Fratelli d’Italia era visto come un brano musicale arcaico e dalle marcate caratteristiche di destra.

Tra gli esponenti politici che proposero, negli anni, la sostituzione del Canto degli Italiani ci furono Bettino Craxi, Umberto Bossi e Rocco Buttiglione. Tra i musicisti che chiesero un nuovo inno nazionale ci fu invece Luciano Berio mentre Michele Serra suggerì la revisione del testo in italiano moderno e Antonio Spinosa giudicò il Canto degli Italiani troppo maschilista!

Fu il Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi, in carica dal 1999 al 2006, ad attivare un’opera di valorizzazione e di rilancio del Canto degli Italiani come uno dei “simboli patri italiani” e dichiarò: “È un inno che, quando lo ascolti sull’attenti, ti fa vibrare dentro; è un canto di libertà di un popolo che, unito, risorge dopo secoli di divisioni, di umiliazioni.”

Un aspetto particolarmente visibile di quest’azione promotrice del Canto degli Italiani consistette nel persuadere i giocatori della Nazionale di calcio a cantarne le parole durante l’esecuzione degli inni nazionali prima degli incontri sportivi, a partire dal Mondiale del 2002!

Ciampi ripristinò anche il giorno festivo per la Festa della Repubblica del 2 giugno e la relativa parata militare in Via dei Fori Imperiali a Roma, operando una più generale azione di valorizzazione dei simboli patri italiani. L’iniziativa di Ciampi è stata ripresa e continuata anche dal suo successore, Giorgio Napolitano, con particolare risalto durante le celebrazioni del 150mo anniversario dell’Unità d’Italia.

L’azione di Ciampi iniziò peraltro dopo il suo clamoroso gesto di protesta nei confronti di Riccardo Muti alla prima della “Stagione Lirica” del 1999-2000 rifiutando la rituale visita di congratulazioni al direttore d’orchestra nel suo camerino in quanto Muti non aveva aperto la serata, come era d’uso, suonando il Canto degli Italiani, da lui ritenuto inadeguato a introdurre il Fidelio di Ludwig Van Beethoven. D’altra parte, lo stesso Muti ha difeso il Canto degli Italiani apprezzandone l’invito all’azione con l’obiettivo di affrancarsi dal dominio straniero che l’inno rivolge al popolo italiano rispetto al sentimento di dolore espresso nel pur melodicamente superiore Va, pensiero – ritenendo pertanto Fratelli d’Italia, con il suo carico di significati rinvigorenti lo spirito patriottico, più adatto ad essere suonato nelle occasioni ufficiali.

Per decenni si è dibattuto a livello governativo e parlamentare sulla necessità di rendere il Canto degli Italiani inno “de iure” della Repubblica Italiana, senza però giungere all’approvazione di una legge o di una modifica costituzionale che sancisse lo stato di fatto, riconosciuto peraltro anche in tutte le sedi istituzionali.

Nel 2005 fu approvato un disegno di legge nella Commissione affari costituzionale del Senato della Repubblica ove si affermava che fosse stato approvato un decreto legge datato 17 novembre, grazie al quale il Canto degli Italiani avrebbe ottenuto il crisma dell’ufficialità. Tale informazione errata fu poi riportata anche da fonti autorevoli.

Nel 2006, con la nuova legislatura, è stato discusso, sempre nella Commissione affari costituzionali del Senato, un disegno di legge che prevedeva l’adozione di un disciplinare circa il testo, la musica e le modalità di esecuzione dell’inno. Nello stesso anno venne presentato al Senato un disegno di legge costituzionale che prevedeva la modifica dell’art. 12 della Costituzione italiana con l’aggiunta del comma «L’inno della Repubblica èFratelli d’Italia», ma che non ebbe seguito di nuovo a causa della fine anticipata della XV legislatura.

Nel 2008, altre iniziative analoghe sono state adottate in sede parlamentare, senza però portare a termine l’ufficializzazione del Canto degli Italiani nella Costituzione, che restava perciò ancora provvisorio e adottato “de facto”.

Il 16 settembre 2009 fu presentato un disegno di legge, mai discusso, che prevedeva l’aggiunta del comma “L’inno della Repubblica è il “Canto degli Italiani” di Goffredo Mameli, musicato da Michele Novaro” all’articolo 12 della Costituzione.

Il 23 novembre 2012 fu approvata una legge che prevede l’obbligo di insegnare il Canto degli Italiani e gli altri “simboli patri italiani” nelle scuole. Tale norma prevede anche l’insegnamento del contesto storico in cui avvenne la stesura del brano musicale con particolare attenzione alle premesse che portarono alla sua nascita.

Il 29 giugno 2016, sulla scia del provvedimento del 23 novembre 2012, è stata presentata alla Commissione affari costituzionali della Camera dei Deputati una proposta di legge per rendere il Canto degli Italiani inno ufficiale della Repubblica Italiana.

Il 25 ottobre 2017 la Commissione affari costituzionali della Camera ha approvato tale proposta di legge, coi relativi emendamenti e il 27 ottobre il disegno di legge è passato all’omologa commissione del Senato.

Il 15 novembre 2017 il disegno di legge che riconosce il Canto degli Italiani di Goffredo Mameli e di Michele Novaro quale inno nazionale della Repubblica Italiana è stato approvato in via definita dalla Commissione affari costituzionali del Senato. Visto che le due citate commissioni parlamentari hanno approvato il provvedimento in “sede legislativa”, quest’ultimo è stato direttamente promulgato dal Presidente della Repubblica Italiana il 4 dicembre 2017 come “legge nº 181” senza la necessità dei consueti passaggi nelle aule parlamentari.

Il 15 dicembre 2017 l’iter si è concluso definitivamente con la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale della legge nº 181 del 4 dicembre 2017, avente titolo “Riconoscimento del «Canto degli italiani» di Goffredo Mameli quale inno nazionale della Repubblica”, che è entrata in vigore il 30 dicembre 2017. I due commi che compongono la legge recitano: “1°- La Repubblica riconosce il testo del «Canto degli italiani» di Goffredo Mameli e lo spartito musicale originale di Michele Novaro quale proprio inno nazionale. 2°- Con decreto del Presidente della Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, ai sensi dell’art. 1, comma 1, lettera ii), della legge 12 gennaio 1991, n. 13, sono stabilite le modalità di esecuzione del «Canto degli italiani» quale inno nazionale. La presente legge, munita del sigillo dello Stato, sarà inserita nella Raccolta ufficiale degli atti normativi della Repubblica italiana. È fatto obbligo a chiunque spetti di osservarla e di farla osservare come legge dello Stato”.

Roma, addì 4 dicembre 2017

A cura di Pier Luigi Cignoli – Foto Imagoeconomica

(dati raccolti da Wikipedia)

Editorialista Pier Luigi Cignoli

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