La festa del Santo Patrono, sin da quando portavo ancora i calzoni corti, mi trasmetteva uno stato d’ansia dovuto, principalmente, al fatto che la mia casa natale era posizionata all’interno dell’area in cui le bancarelle della Fiera di San Giovanni erano dislocate. La mia maggior preoccupazione era legata, esattamente come oggi ma in maniera molto meno consapevole, all’eventualità in cui scaturisse un incendio in una delle abitazioni impossibili da raggiungere da un’autopompa dei Vigili del Fuoco o da un’ambulanza nel caso un abitante ma anche un passante ne avesse necessità.

Cominciai a pensare ad una soluzione alternativa al centro storico e, anni dopo, mi resi conto che un tempo la si allestiva nel giardino pubblico “Giuseppe Verdi”. Chiesi allora ad un vicino di casa, che all’epoca era consigliere di quartiere, il motivo per cui non veniva allestita nella zona fieristica, visto che rispetto ai tempi passati oggi era presente e in piena attività, mi rispose che spostare una fiera documentata fin dal 1638 che segna, di fatto, l’inizio dell’estate, dal centro storico ad un quartiere periferico anonimo, equivarrebbe a farla morire. A pensarci bene, il signor Alano non aveva tutti i torti, se da più di tre secoli l’allestimento è sempre stato in centro storico, il motivo doveva essere proprio quello. Ma il problema delle emergenze restava. Naturalmente, come spesso accade, io ragionavo in questo modo anche perché non avevo alcun interesse da difendere, a differenza di mia nonna paterna e di sua sorella, le quali per diversi decenni hanno svolto la mansione di ambulanti, vendendo in questo periodo dell’anno, i simboli della festa di San Giovanni, rimasti tutt’ora nella tradizione, fischietti, lavanda e aglio.

Mia nonna mi spiegò che la lavanda serviva a profumare federe e lenzuola e a tener lontano le zanzare, l’aglio veniva acquistato come antidoto contro il malocchio, mentre il celebre fischietto di zucchero rosso, a forma di ochetta o di galletto, era destinato ai bambini ma anche alle donne amate, dono che non a caso era realizzato del tipico colore della passione. Oggi che non vivo più a stretto contatto con l’area incriminata, più che pensare a eventuali disgrazie e catastrofi, mi chiedo che fine facciano le migliaia di fischietti venduti ogni anno, dal giorno dopo la fine della fiera. Quelli che finiscono nelle mani dei bambini, hanno una vita breve ma intensa, per alcuni giorni sono costantemente in bocca ai marmocchi che li usano fino allo sfinimento dei genitori i quali, nottetempo, li deteriorano in modo del tutto accidentale. Il fischio privo di pallina nella cavità, è troppo assordante e poco piacevole d’ascoltare.

Per gli adulti bisognerebbe studiare un fischio che possa essere riutilizzato anche come richiamo d’emergenza, con una potenza del suono fino a 120 decibel, sufficiente per essere ascoltato a lunga distanza. Di piccole dimensioni che può essere legato a uno zaino, a una borsetta, alla cintura o appeso al collo, di materiale ultraleggero, adatto ad essere inserito in un portachiavi delle chiavi della casa o dell’auto. La vita del fischio di San Giovanni potrebbe essere molto più lunga e utile, in caso di emergenza si potrebbe utilizzare il segnale di richiesta d’aiuto di quelli in uso per i soccorsi alpini: chi richiede aiuto, fino ad una distanza di 4/5 Km con vento a favore, deve effettuare sei fischi in un minuto, uno ogni 10 secondi, da ripetere con un intervallo di un minuto, mentre chi risponde alla richiesta di aiuto, effettuerà tre fischi in un minuto, uno ogni 20 secondi, da ripetere con un intervallo di un minuto. Il sibilo di un fischio può salvarti la vita, pensaci.

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A cura di Marco Benazzi – Foto Paolo Senni

Redazione IL POPOLANO

La Cesenate

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