(Da immigrata credo )
Credo che un filo d’erba conosca l’infinito,
più del telescopio puntato sul cielo,
che una formica porti in sé la perfezione,
e lo scorfano, sgraziato, sia arte d’élite.
Un granello di sabbia ride del tempo,
un’articolazione schernisce ogni ingranaggio,
e le anime nostre— così vive —
non hanno motivo di piegarsi mai.
La speranza è con me, istante eterno,
sradicata come me, come tanti immigrati nasce in ogni poesia. Siamo erba, libertà:
togliamoci le briglie dalla gola, straniero.
Gli animali ci insegnano “la voce
è natura!”. Siamo figli dell’immenso.
Nessuna vergogna, nessun peccato.
Nessuna preghiera per essere perdonati.
Nessuna bava d’oro sui i nostri nomi,
così lontani, sradicati, diversi.
Eppure, siamo pieni di rinascita.
Vi vedo con i vostri viaggi. Mi riconosco.
Non m’importa chi sei, chi siete.
Siete quello che siete e basta.
Anche se vi dicono che siete “nessuno”.
Anche se vi danno solo un numero
al posto del volto.
I nessuno, figli del silenzio,
con la mano che prude e il piede “giusto”.
iniziano l’anno cambiando i record,
anche la letteratura la cambiano,
perfino quando non piove su di loro la fortuna.
La fortuna se la guadagnano.
Nemmeno una goccia di cielo per loro.
Eppure camminano, ridono,
muoiono di vita, vincendo.
Parlano in dialetto e ballando folklore,
non sono cultura, ma verità.
Sono risorse senza nome,
costano meno del razzismo che li cancella.
Ma io li vedo brillare,
sono stelle sotto la pelle del mondo.
Il loro sudore è l’origine
di tutte le poesie.

A cura di Yuleisy Cruz Lezcano – Foto Imagoeconomica