GREG OSBY

Il sassofonista, compositore, produttore, educatore e curatore Greg Osby è stato una presenza formidabile sulla scena musicale internazionale come leader dei suoi ensamble e come artista ospite insieme ad altri gruppi acclamati negli ultimi quarant’anni. Molto apprezzato per il suo approccio perspicace e innovativo alla composizione e all’esecuzione, Osby è una voce ispirata tra le fila dei musicisti improvvisatori. Egli ha ottenuto numerosi consensi dalla critica per le sue opere registrate e le sue appassionate apparizioni dal vivo ed è stato riconosciuto dal New York Times come uno dei pensatori musicali più provocatori della sua generazione.

Nato e cresciuto a St. Louis, Greg Osby ha iniziato la sua carriera musicale professionale nel 1975, dopo tre anni di studi privati di clarinetto, flauto e sassofono contralto. Proveniente da una città vivace e musicale, Osby ha mostrato un precoce interesse per le arti performative e ha trascorso gli anni della scuola secondaria con un forte coinvolgimento in gruppi Blues e Jazz. Nel 1978 il sassofonista ha approfondito la sua formazione musicale alla Howard University di Washinton DC dove si è laureato negli studi della Musica Jaz. Ha poi continuato i suoi studi al Berklee College of Music of Boston, nello Stato del Massachussett dal 1981 al 1982. Dopo essersi trasferito a New York alla fine del 1982, Osby si è rapidamente affermato come turnista di spicco e richiesto da artisti diversi come Herbie Hancock, Dizzy Gillespie, Jack DeJohnette, Andrew Hill, Freddy Hubbard, Muhal Richard Abrams, Woody Show, Jim Hall, Chick Corea, The Grateful Dead e con molti nuovi ensamble musicali internazionali. Oltre al suo rigoroso programma di esibizioni, Osby dedica una generosa quantità del suo tempo ad attività educative. Il Maestro Osby è anche un membro fondatore dell’innovativo collettivo M-Base.

Nel 1985 il sassofonista fu invitato inoltre a unirsi al gruppo innovativo del batterista Jack DeJohnette “Special Edition”. Fu come membro di questa formazione che Osby fu in grado di mettere a punto gli aspetti più impegnativi della sua concezione in una situazione musicale aperta e senza esclusione di colpi. Dice Osby. “Il mio pensiero musicale per l’esecuzione e la composizione è avanzata di anni luce poiché Jack era aperto al mio contributo e mi incoragiava molto nello spingermi a mantenere un flusso costante di sperimerazione. Ha segnato una svolta importante nel mio sviluppò come artista”. Dopo aver registrato quattro progetti per la JMT / Polygram Records, Osby formò un contratto con la label americana Blue Note Records nel 1990, un contratto che portò alla produzione di quindici opere discografiche di eccellenti lavori. Nel 2007, Osby lanciò la sua etichetta privata, “Inner Circle Music”, che funge da piattaforma per molti degli artisti brillanti di oggi: (“La Inner Circle Music. Dopo quindici opere discografiche con la label americana Blue Note Records, il sassofonista Greg Osby se ne andò per fondare la sua personale etichetta. Questa label è specializzata nella pubblicazione di progetti autoprodotti da artisti provenienti da contesti e parti del mondo diversi. Nel 2008, il suo primo album, “9 Levels”, questo lavoro fu pubblicato a nome del sassofonista. La casa discografica Inner Circle Music include vari musicisti, giovani artisti, da Melissa Aldana, Joao Barrados, Ron Blake, Juan Garvia – Herreros. Petros Klampanis, Logan Richardson, Kavita Shah, Yuhan Su, Gabriel Vincèns e James Weidman. Si n dalla sua fondazione la Inner Circle Music ha pubblicato oltre cento registrazioni. Nel 2006, “All About Jazz” ha osservato che “Inner Circle Music” è un importante esempio di etichetta basata sulle idee di creatività e spirito comunitario. Nello stesso anno. Jazz In Europe ha scritto: “Questa etichetta jazz attiva rappresenta l’entusiasmo del sassofonista Greg Osby di mantenere vivo il jazz spingendo avanti i nuovi giovani talenti nella speranza di facilitare le loro carriere professionali in tutto il mondo”). Nelle sue parole il musicista americano spiega: “Vorrei essere considerato un provocatore e uno sperimentatore.

Ciò che faccio si basa sugli aspetti più ampi del suono, della struttura e della scienza, nonché sull’intuizione, l’intelletto e lo spirito umano”. Osby diede visibilità al giovane pianista Jason Moran, che apparve nella maggior parte dei lavori discografici del sassofonista americano degli anni Novanta, tra cui “Further Ado Zero”, “Bonned in New York ” e “Symbols of Light”, un doppio quartetto d’archi aggiunto alla band. Inoltre suonato anche con artisti del calibro di Phil Lesh and Friends, e ha fatto un tour insieme ai Dead, una reincarnazione dei Grateful Dead. Inoltre ha ricevuto il Premio Playboy Magazine Jazz Artist of the Year per il 2004 e il 2009. Il critico Nate Chinen, scrivendo per il New York Times, ha definito Osby; “un mentore e un battistrada, uno dei ponti più solidi tra le generazioni del jazz” e ha affermato che ha”un tono acuto e concentrato sul sassofono contralto e un fraseggio da colibrì, un equilibrio tra librarsi e svolazzare”. Molto magazine di Musica Jazz, hanno scritto su Greg Osby, dedicando all’artista americano notevoli articoli, compreso il magazine italiano Musica Jazz, che gli ha dedicato una bella intervista, a cura di Alceste Ayroldi . “Durante Il sassofonista statunitense e stato in Italia e a tenuto un minitour del trio del batterista svizzero Florian Arbenz e con Arno Krijger per promuovere il lavoro discografico “Conversetion # 9”.

MJ: la prima domanda riguarda il suo rapporto con Florian Arbenz. Cosa la affascina del progetto creato dal batterista svizzero?
GO: “Apprezzo il fatto che Florian abbia preso l’iniziativa di creare un ambiente variabile per se stesso, invece di seguire il percorso di un semplice “cronometrista”, che è il modo in cui la maggior parte delle persone considera i batteristi. Credo che il progetto che prevede la presenza di gruppi diversi di musicisti per ogni album sia una grande idea. Non ho mai visto o sperimentato cose fatte in questo modo prima d’ora.
MJ: “Qual’è stato il duo contributo on termini di composizione e arrangiamento?
GO: “Ho presentato alcune mie composizioni al progetto. Dal momento che ho suonato con Florian per molti anni, lui conosce molta dell’amianto musica e risponde molto bene al mio modo di pensare.

MJ: “Avere seguito una linea comune nel creare i pezzi per Freedom Jazz Dance? Come avete proceduto nella fase di registrazione?
GO: “Durante la registrazione del disco abbiamo avuto un assetto insolito. In studio eravamo tutti nella stessa stanza. Le barriere sonore e l’isolamento erano minimi. Questo ci ha permesso di avere un contatto visivo e di percepire le “vibrazioni” reciproche. Il risultato finale è stato molto migliore di quanto avessi previsto.
MJ: “Parlando del titolo Freedom Jazz Dance, secondo lei quanto jazz è ancora libero e quanto è adatto a far ballare la gente?
GO: “Non capisco nè accetto il concetto di “libero” per quanto riguarda la musica. Affinché i musicisti responsabili possano comunicare tra loro, ci deve essere in riconoscimento della forma e dello spazio. I cosidetti “liberi” suonano semplicemente suoni casuali sperando che siano coesi. Non credo che i musicisti affermati vogliono dare l’impressione di non sapere cosa stanno facendo in questo modo. Tuttavia, rispetto chiunque si esprima con amore se questa espressione è un’illustrazione di sfida, realizzazione e curiosità. Spero sempre che la gente trovi ritmo e groove on tutta la mia musica, ma non cerco di essere un compositore di musica da ballo. Lascio che siano altri musicisti ad assumersi questo ruolo”.

MJ: “dal 10 novembre 2023 lei sarà in Italia per presentare questo disco. Qual’è il duo rapporto con il pubblico italiano?”
GO: “Sono affezionato all’Italia da quando ho iniziato la mia carriera di tournée internazionali più di quarant’anni fa. Per qualche motivo, la gente di qui sembra di entrare in contatto e realizzarsi con la musica più facilmente che in altri luoghi. Naturalmente anche i residenti di altri Paesi apprezzano la musica, ma gli italiani sembrano avere una comprensione più profonda delle storie e del significato che si cela dietro i testi e i concetti. E una parentela non espressa, ed è per questo che molti neri americani preferiscono esibirsi in Italia, praticamente più che in qualsiasi altro luogo”.
MJ: “Cosa c’è di nuovo e di bello nella scena musicale americana?
GO: “Non ne ho idea. Immagino che gli artisti rispondono ai loro impulsi di creare musica che rifletta i loro interessi personali. Ci sono molti nuovi giovani musicisti che sembrano andare molto bene, sia per la frequenza delle loro esibizioni. Francamente, spererei che una parte dell’attenzione fosse condivisa da più di qualche fortunato musicista. In altre parole, vorrei più giovani che lavorano e fanno tournée rispetto agli stessi dieci artisti che ricevono più attenzione e lavorò”.MJ: “Lei è cresciuto a St. Louis, una città che ha un ruolo importante nella storia del jazz. Com’era la sua vita da bambino, e in particolare le influenze mudicali?”.
GO: “Quando ero giovane, St. Louis era una città vibrante , piena di musica e di stile. C’erano molti locali che proponevano musica dal vivo. Era quindi un ambiente fantastico per me da giovane, che mi ha permesso di partecipare a un’ampia varietà di ensamble. I miei progressi sono stati molto rapidi perché ero circondato da un gran numero di musicisti più anziani che dimostravano regolarmente i punti più fini dell’esecuzione, della tecnica e dello studio. Ho incontrato mparato cose che non possono essere insegnate in una scuola o in un conservatorio, soprattutto da istruttori che hanno un’esperienza molto limitata.
MJ: “Quanto si è interessato al jazz?
GO: “Nel 1975 me è stato regalato un album di Charlie Parker, che ha cambiato la mia idea di come si potesse suonare il sassofono. Prima di allora, ero consumato dal suonare uno stile funky e blues”.
MJ: “Tra le sue numerose collaborazioni, c’è n’è una in particolare che ha segnato la sua carriera artistica?”
GO: “Non c’è un’esperienza che sia più significativa di altre. È stato un amore per me essere stato scelto da così tanti grandi maestri per suonare nelle loro band, e la lista di esperienze è molto lunga. Non ho mai dato nulla per scontato e ho sfruttato ogni occasione per presentare molta attenzione e fare quante più domande possibili sul business è sui punti più sottili di questa forma d’arte”.
MJ: “Lei è il fondatore di Inner Circle Music. Come è perché ha fondato questa casa discografica e con quali criteri seleziona gli artisti della sua casa discografica?”
GO: “Alla Inner Circle Music gli artisti sono i veri artefici del loro destino. Sono responsabili di ogni aspetto di come desiderano essere presentati, commercializzati e rispettati. La nostra etichetta non si propone di creare dei media, ma preferisce aiutare lo sviluppo di certi artisti che rispettano la mia organizzazione e il mio approccio. E stato importante ogni aspetto del business musicale, codi come i punti più fini della produzione di dischi. Non ho mai voluto essere alla mercè di persone che non riuscivano a capire la mia direzione e i miei concetti o che erano nel mondo della musica solo per fare soldi”.
MJ: “Quali sono i suoi progetti futuri?”
GO: “Ho appena pubblicato un nuovo album, intitolato “Minimalism”, con la mia etichetta, Inner Circle Music. È il primo album a mio nome che pubblico da molto tempo a questa parte è ho un’incredibile nuova band di giovani musicisti che provengono da molti luoghi diversi. Non vedo l’ora di portarli in Europa l’anno prossimo (nel 2025) per i festival e i concerti. Ritengo che sia mio dovere, in quanto artista responsabile, incoraggiare e promuovere quanti più giovani musicisti possibile. Poiché le informazioni mi sono state trasmesse, sono obbligato a stimolare le menti della prossima generazione di musicisti con le stesse informazioni”.

(Il testo virgolettato è tratto dal mensile Musica Jazz, “Conversation # 9. Intervista a Greg Osby a cura di Alceste Ayroldi, tratto dal sito online – 2023).
Alceste Ayroldi è docente critico musicale, saggista, veejay. È docente di legislazione dello Spettacolo e dei Rapporti tra autori e editori presso il Saint Louis College di Roma (A.F.A.M), nonché Music Research Practice, Mudic Industries & Academic Writing presso la University of the West of Scotland. Egli e docente di Performing Arts nei coesi universitari UWS dell’Art Village di Roma. In qualità di critico musicale collabora stabilmente con la rivista italiana Musica Jazz, (ed è proprio questo articolo che ho scelto per parlarvi del sassofonista Greg Osby). Inoltre è editor manager delle Webzine Jazzitalia. Collabora inoltre in qualità di consulente con alcuni importanti festival jazz italiani (da Multiculturita Summer Fest e Beat Auto Jazz Festival). Egli ha prodotto diversi spettacoli, ed è stato – ed è tutt’ora – il direttore artistico di numerosi festival italiani. Collabora poi con la rete Svizzera Italiana e con la Fondazione The Brass Group di Palermo. Tra le sue maggiori opere: Paolo Lepore e la Jazz Studio Orchestra (edizioni Adda, 2020); La Legislazione dello Spettacolo e il Diritto d’Autore delle Opere Musicali (Edizioni Arcana, 2022); Fatti e Misfatto dell’industria Musicale Italiana (Edizioni Arcana, 2023).

Ritornando al sassofonista americano. Greg Osby, come ho già detto è anche produttore e discografico, egli ha fondato la Casa Discografica Inner Circle Music, dopo quindi opere discografiche con la label americana Blue Note Records il sassofonista statunitense se ne andò per fondare la sua personale etichetta. Questa label è specializzata nella pubblicazione di progetti autoprodotti da artisti provenienti da contesti e parti del mondo molto diversi tra loro. Nel 2008, il suo primo album, “9 Levels”, questa opera discografica fu pubblicata a nome di Grg Osby. Questa label include vari musicisti giovani artisti, da Melissa Aldana, Joao Barroso, Ron Blake, Juan Garcia – Herreros, Patros Klampanis, Logan Richardson, Kavita Sha, Juhan Su, Gabriel Vicèns e James Weidman. Sin dalla sua fondazione, la Inner Circle Music ha pubblicato oltre cento registrazioni . Nel 2006, “All About Jazz” ha osservato che la Casa Discografica è un’importante esempio di etichetta basata sulle idee di creatività spirito comunitario. Nello stesso anno, Jazz in Europeha scritto: “Questa etichetta jazz attiva rappresenta l’entusiasmo del sassofonista Greg Osby di mantenere vivo il jazz spingendo avanti I nuovi giovani talenti nella speranza di facilitare le loro carriere professionali in tutto il mondo.
Anche un autorevole magazine di Musica Jazz, In & Out Jazz ha scritto un articolo sul sassofonista Greg Osby a cura di Enrico Turpin, da titolo: “Greg Osby Minimalism (Inner Circle Music 2023).

‘La sfida dell’incertezza’.
“Mi ero proposto negli anni di mettersi al riparo e salvare l’intera discografia di Greg Osby (Saint Louis, Missouri, 1960) per provare a ragionare sull’eccellenza della sua ultima opera, da quei lontani e seminali volumi curati dal non meno fantasioso e l’avanzata casa discografica JMT (già negli anni Ottanta, poi accuratamente ristampato dalla Winter & Winter), passando per l’approdo sulla Major Blue Note nel 1990 (gli anni d’oro), fino ad arrivare alle produzioni di Inner Circle Music a partire dal 2008, e alla realizzazione di Nine Levels. Il passare dei giorni è riuscito a rimettere le cose al loro posto costringere l’impegno di Osby e della sua famiglia a stabilirsi senza bisogno di tanti apparati e di tanti progetti giustificativi. Sapevamogia da decenni che Greg Osby è fantastico; inoltre il suo impegno artistico di dimensioni vicine al classico come concetto (quella musica che ha sempre qualcosa da dire con il passare degli anni) non si ripete; che, finalmente, abbia raggiunto l’indipendenza con la quale portare avanti qualunque delle sue proposte è ciò che merita di essere considerato oggi. Sono già legioni di coloro che si sono avventurati in avventure fuori dai tentacoli delle grandi corporazioni dell’intrattenimento, nel tentativo di mantenere l’autonomia e il controllo del proprio lavoro senza alcuna interferenza se non il dialogo con la tradizione e l’incontro con i maestri che li hanno formati. Fungere da guide, come se avessero capito che qui ciò che conta è il disegno dell’anima, non la cornice che la sorregge. Si vedono a questo proposito le aziende costruite da Jason Moran, Ben Allison o dell’esperto John Zorn, tra i tanti, tutti attenti a nuovi modi di affrontare la sfida di sopravvivere in tempi difficili. Sono finiti i tempi del sodalizio con il collettivo M-Base (Macro-Basic Array of Structured Extemporizations”, che non è niente), luogo di incontro dove anche i suoi amici Steve Coleman e Gary Thomas – per parlare solo di sassofonisti – finivano alla ricerca di nuovi suoni scambiando idee ed energie. Saint Louis si rese presto conto che i nuovi linguaggi del jazz dovevano incorporare la musica urbana, come ha sempre fatto il jazz nella sua eterogeneità e isolamento, qualcosa che gli veniva dalla nascita, quindi non esitò ad appropriarsi di metodi hiphop con cui cercare di muoversi verso un futuro che sembrava non avere tetto.

Registrazioni come 3-D Life Styles (Blue Note, 1993 o Black Book (Blue Note, 1995) hanno rappresentato un notevole esercizio di modernizzazione delle strutture e dei ritmi, la pietra filosofale su cui il jazz contemporaneo continua a ruotare. In anticipo sui tempi, non esitò a dare natura ai nuovi generi e ad integrarli perfettamente in quello che gli era più affine, ma non dimenticò i suoi antenati o i suoi simili con un linguaggio comune. Prende così l’iniziativa di rinnovare la veste classica con l’edizione di New Directions (Blue Note, 2000), un dialogo con la tradizione della casa madre a cui si uniscono luminari come Stefan Harris, Janson Maron, Torus Meteen, Nasheet Waits (l’intero Bandeagon) e Mark Shim danno le risposte del leader al sax tenore. Nè ha dimenticato i grandi precursori, da Jim Hall ad Andrew Hill (a cui dedica la bellissima “Thank You For Your Time” tratta dall’album in questione), da Joe Lovano a Jeff “Tain” Watts, senza rinunciare a tentare incorporazioni non ortodosse, come quelli della cantante Joan Osborne (Public, Blue Note, 2004) o Sara Serpa (9 Lovels, già sul palco della Inner Circle Music, dal nome dell’album omonimo del 2002). A quel tempo, Greg Osby è la sua band di feedback e circolare erano già uno dei gruppi inevitabili sulla scena internazionale.

Il destino, però, aveva in serbo per lui nuovi scherzi lungo il cammino. E fino ad oggi. Devono essere passati quasi tre decenni prima che Osby decidesse che era giunti il momento di fornire un nuovo contributo all’universo musicale del nostro tempo, già nell’era post-Covid, sebbene sia stato registrato nel 2019. Lo fa circondato da nuovi nomi, nel desiderio di mettere in luce talentuosi strumentisti di grande calibro che non hanno ancora trovato gli spazi espressivi che sarebbe loro giusto, a cominciare dal fisarmonicista Joao Barradas (sulla scia inventiva di Gil Golstein), e proseguendo attraverso il pianoforte di Tal Cohen, il basso di Nimrod Speaks e il batterista Adam Arruda. Un quintetto che si completa con le voci di Viktorija Pilatovic e Alessandra Diodati, trattante come uno strumento il più, alla ricerca di atmosfere e trame armoniche che esaltano il lavoro di Osby alla testa della formazione. Registrato tra Filadelfia e il New Jersey, il sassofonista ha prodotto quasiun’ora di musica per Otzone che comprende la vivacità di “Circular Facets Squared”, ‘Dedicato” (con uno sguardo verso un omaggioal compianto Wayne Shorter) e “Minimalism”. (Il brano che apre l’album e che funge da titolo del lavoro) con tagli più meditativi come “I Forgive You” (firmato da Becca Stevens) o “Journey” (rilettura della composizione di Kendrick Scott), senza che l’uso del sax o soprano faccia pensare alla delicatezza o alla durezza delle composizioni, lezione appresa dal Maestro Coltrane.

A volte, come accade nei cinque minuti della sublime “Once Known”, l’aspetto delle voci, che uniscono il vocalese alla canzone, ricorda Perrier Street (Sunnyside, 2012), uno degli album del sottovalutato chitarrista Davy Mooney, lì con la voce doppiata di Johnaye kendrick. Ma se il Minimalismo somiglia a qualcuno, è proprio Osby, che per l’occasione ha reinventato alcuni dei suoi metodi compositivi, isolando motivi ricorrenti nel suo territorio sonoro, un modo per evitare i luoghi comuni e non cadere nello stereotipato e nel prevedibile allo stesso tempo ha accorciato la durata delle composizioni per amore di fedeltà alla storia che voleva raccontare. Perché parla di storia, di favola, di racconto (storia) con tutti i suoi ingredienti[…]”.
“[…] Si Arriva allo stesso punto senza tanti apparati, ci viene a dire con il metodo eloquente del Minimalismo, con un ritorno all’arena oltista dopo i suoi sforzi condivisi con Mark Copland, Andrew Cyrille, Florian Arbenz, Tyshawn Sorey, Philip Catherine, Michele Franzini, Bobby Previet e tanti altri[…]”.

(Il testo virgolettato è tratto dal sito online In & OutJazz – Greg Osby Minimalismo (Inner Circle Music, 2023, testo a cura di Enrico Turpin, 26 febbraio 2024).

A cura di Alessandro Poletti esperto di musica Jazz – Foto Repertorio

Redazione IL POPOLANO

La Cesenate

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