In quegli ultimi giorni di maggio dell’anno 1971, il caldo torrido nella pianura padana era veramente insopportabile. Prestavo servizio all’ufficio automezzi del XXesimo Reparto Mobile, ed ero l’autista del comandante della Scuola allievi guardie di Pubblica Sicurezza di Piacenza, distaccamento di Alessandria.

Dovendo fare dei lavori di ristrutturazione alle camerate della scuola, destinate al personale permanente, ci fecero traslocare momentaneamente in via Castello, presso il Gruppo di P.S. e sede della Polizia Stradale, che distava poche centinaia di metri dal reparto-scuola di viale Malta. A due passi dalla nuova residenza vi era una modesta osteria, dove gli anziani del posto si trovavano per la classica partita a carte davanti a un bicchiere di buon vino; mentre noi, la sera, ci riunivamo, con i pochi colleghi “obbligati” a rimanere in sede, per dissetarci con una bottiglia di spuma fresca e fare quattro chiacchiere. In una di queste afose serate di fine settimana alcuni ragazzi piacentini ci chiesero se volevamo dare quattro calci a un pallone con loro.

Nel retro della locanda c’era un minuscolo rettangolo di gioco, adibito a campetto di calcio a cinque, circondato da alte mura. Nei due lati corti, disegnate con il gesso, le porte. In pratica, nessuna regola, mentre il muro fungeva da giocatore invisibile. Tre contro tre. Essendo abituati a quella striscia di terriccio polveroso, alla tipologia di gioco e inoltre ottimi conoscitori di ogni angolo buio del campo, i clienti abituali dell’osteria ci diedero una sonora e bruciante batosta. Onestamente, noi eravamo anche particolarmente scarsi. Oltre al risultato impietoso, mi fece riflettere il fatto che i civili ci vollero apertamente “umiliare” perché militari e poliziotti.

È risaputo che in quel periodo la popolarità dei servitori dello Stato aveva toccato i minimi storici. La rabbia per essere stati battuti, ma principalmente derisi, si tramutò subito in una ricerca di sana “vendetta”. La domenica sera ricordo che attesi con trepidazione il rientro dei colleghi dal permesso e/o dalla licenza per raccontare loro l’accaduto e sfogarmi. Il giorno seguente formai una squadra con cinque elementi in grado di stare in campo. Sicuramente di livello un ”tantino” superiore alle tre “pippe” che si erano fatte massacrare qualche sera prima. A breve organizzai la rivincita che però, ahimè, finì con lo stesso, ma meno umiliante, risultato.

Di contro, però, ebbi modo di vedere un buon gioco da parte dei miei colleghi impegnati nella sfida. A questo punto occorreva alzare l’asticella e organizzare una vera partita di calcio. Quale direttore sportivo, unitamente al mister, formai la squadra guidata dal capitano e collega d’ufficio Sauro Rossetti, un toscano verace, buon giocatore, e la prima persona con la quale avevo condiviso l’idea. Informato il direttore della scuola, maggiore Lorenzo Pacelli, per le autorizzazioni del caso e sotto la guida dell’istruttore di difesa personale, e allenatore in pectore, appuntato Romolo Golino, iniziò la dura ma costante preparazione. Tutte le mattine alle 06.30, prima di andare in ufficio, seduta di allenamento. Nessun contributo e/o agevolazione da parte del comando, acquisto del completo da gioco a nostre spese, mentre l’ufficio vestiario ci fornì gli scudetti del Reparto Mobile da applicare sulle maglie.

Tramite l’intervento del comandante della scuola il sindaco dì Piacenza, Erio Ghillani, autorizzò l’uso, per l’occasione, dello stadio comunale Leonardo Garilli, l’impianto sportivo del Piacenza Calcio, all’epoca militante in serie C, inaugurato il 31 agosto 1969. L’iniziativa, molto pubblicizzata in città, fu accolta favorevolmente, poiché fu un’ottima occasione per rafforzare gli scarsi rapporti tra la popolazione e le forze di polizia. A questo punto, essendo i padroni di casa più allenati, serviva una vera impresa da parte nostra. La “febbre” agonistica cresceva di giorno in giorno perché non era solo una partita di calcio, ma era vissuta come una responsabilità verso le Istituzioni che rappresentavamo.

Finalmente, dopo un mese dai primi due “scontri”, giunse la sera dell’incontro ufficiale: in campo ventidue giocatori, direttore di gara e guardalinee. Per la cronaca il Var era rappresentato dagli “ultrà” delle due squadre. Nonostante l’alta temperatura di fine giugno, una delicata brezza anticipò l’accensione delle luci che illuminarono a giorno il terreno di gioco. Gli spalti erano gremiti dai supporter di entrambe le formazioni, da molti curiosi amanti di questo magico sport, e dai rappresentanti delle Istituzioni locali. Alle 21.00, l’arbitro, preciso come un orologio svizzero, diede il fischio d’inizio a questa “ultima” sfida. 

La partita, combattuta ad armi “quasi” pari, terminò con due reti a testa e gli applausi rivolti a tutti i partecipanti. Per i poliziotti – in particolare per chi scrive, essendo anche l’artefice dell’evento – fu un ottimo risultato, senza vincitori né vinti, ma che rimise in equilibrio i rapporti tra i ragazzi del posto e i poliziotti, che si erano guadagnati, in una leale contesa, il “rispetto” che sempre si deve agli avversari, e non solo su un campo di calcio. Dopo qualche mese, esattamente il 28 settembre 1971, fui trasferito al Centro Addestramento Polizia Stradale di Cesena. Un altro dei miei sogni nel cassetto che si avverava! 

Il vice Direttore Ugo Vandelli – Foto Repertorio

Il Vice Direttore Ugo Vandelli

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui