San Patrignano, piccolo borgo situato sulle prime colline del riminese, prese il nome dalla strada del comune di Coriano dove ha la propria sede. “Creatura” fondata nel 1978 dal compianto Vincenzo Muccioli (6 gennaio 1934 – 19 settembre 1995) figura molto discussa, sempre presente, nel bene e nel male.

Una comunità terapeutica di recupero dalla dipendenza di sostanze stupefacenti – che ancora oggi conta circa 1000 presenze – dove si vive in gruppi, rigorosamente uniti, sempre insieme, che mette al centro del percorso dei ragazzi la formazione individuale. Un complesso eterogeneo nel quale tutti gli ospiti seguono le stesse regole e dove l’esempio di chi è entrato prima può mostrare la strada giusta per uscire indenne dal vortice pericoloso della tossicodipendenza.

Ogni new entry è affidata a un “angelo”; ragazzi che dopo il loro reinserimento seguono i nuovi arrivati in ogni momento della giornata. Il tempo è un elemento fondamentale e per questo motivo chi entra, per almeno un anno, non può avere contatti con il mondo esterno, se non epistolare. L’elemento caratteristico sono le relazioni umane, quelle relazioni che il tossico non ha avuto nel mondo esterno e che in questo luogo può trovare. Nessun uso della violenza nella comunità, ma la consapevolezza di chi vuole uscire dal tunnel.

Atti ufficiali dell’epoca riportano: “Muccioli, anima di San Patrignano, non è responsabile di maltrattamenti e sequestro di persona poiché ha agito in stato di necessità per aiutare i suoi ragazzi a superare le crisi d’astinenza”. Così si pronunciò – dopo dieci anni dall’inizio dell’azione penale – la Corte Suprema, che lo assolse definitivamente dall’accusa infamante di usare metodi considerati coercitivi. Il padre-padrone aveva trascorso anche trentadue giorni in carcere.

Amarcord di essere stato a San Patrignano tre volte.
La prima in occasione di una visita guidata alle strutture (e relative attività svolte), presenti all’interno della comunità con il Panathlon Club di Cesena. Un pomeriggio molto interessante e istruttivo – perché dalla fine degli anni ‘60 mi trovavo dall’altra parte della barricata essendo un funzionario di polizia – che terminò con una cena a stretto contatto di gomito con gli ospiti della comunità.

Le due volte successive, quale dirigente sportivo degli Artusiani, per assistere agli incontri di basket San Patrignano vs Forlimpopoli, validi per i Campionati di serie C2. Vivere in gruppo, mangiare, lavorare, fare sport e dormire insieme significa riscopriore la propria personalità, quella vera, una parte nascosta dell’individuo che a San Patrignano s’impara a ritrovare. Ovviamente non senza demoni del passato o paure del presente.

Il rapporto con chi si trova nella stessa situazione, che capisce cosa provi e cosa pensi, sta alla base del metodo di recupero. Buona parte degli ospiti viene anche seguita da psicologi con percorsi individuali. Spesso le fragilità che hanno determinato l’uso della droga sono vicende legate all’infanzia.

Le cause si riferiscono di solito alle amicizie, che hanno come effetto l’emulazione; violenze subite e/o abusi sessuali. Quando i ricordi riaffiorano, sono sicuramente molto dolorosi. Dolore che però non è annullato, ma affrontato e scacciato, visto che rientra nella prima fase del recupero mentale, psicologico ed emotivo, nel quale ogni essere umano è seguito costantemente da personale qualificato.

Il passo successivo è quello di trovare gratificazione nelle piccole cose che ti offre la vita quotidiana, senza cercare emozioni o motivazioni nella droga, che ne può dare solo di effimere. Essere consapevole che si può fare qualche cosa di utile per sé e per gli altri. Lavoro, studio, sport e relazioni sociali positive per tornare a una vita normale, pronti a costruire un futuro anche per chi pensava di non averne più uno. Forza ragazzi! 

Il vice Direttore Ugo Vandelli – Foto Imagoeconomica

Redazione IL POPOLANO

La Cesenate

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