Sono nato a Bologna nel 1950 e ho vissuto la mia prima infanzia tra la strada, l’oratorio e il bar. Così passavano le giornate in quegli anni del dopoguerra. Nel 1963 ho abbandonato la scuola, che all’epoca non rientrava, ahimè, nelle mie “priorità”. Poi ho recuperato il tempo perduto da adulto, tra lavoro e studio, iscrivendomi anche all’università.

La mia mamma, con tutti i guai che le ho procurato da ragazzo, se lo avesse saputo ne sarebbe stata molto fiera.
Nei cinque anni successivi ho svolto nella mia città natale diversi lavori come fattorino e apprendista. Poi, nel 1968, la svolta della mia vita lavorativa tramite l’arruolamento nel Corpo delle Guardie di Pubblica Sicurezza. Anni difficili per chi si trovava da questa parte della barricata. Tre a Piacenza, uno a Nettuno, trentasei a Cesena (con trasferte operative in parte anche lunghe a Milano, Torino, Bologna, Venezia, Roma, Napoli e Parigi), poi gli ultimi due anni della mia carriera al comando della polizia ferroviaria di Forlì Cesena, con la qualifica di sostituito commissario.

A quarant’anni dall’approvazione della legge 1° aprile 1981, n. 121 (Nuovo ordinamento dell’Amministrazione della pubblica sicurezza) desidero soffermarmi sull’attività sindacale che ho svolto nel tempo.

Perché se è vero che mi ha dato tante soddisfazioni, è altrettanto vero che mi ha creato anche diversi “grattacapi”. Essere sindacalista agli esordi era relativamente semplice, ma molto pericoloso; oggi è molto più complesso, ma ritengo si sia più tutelati. Va anche detto, a mio modesto avviso, che si sta registrando una grave crisi del sistema di rappresentanza, causa la troppa frammentazione delle sigle che oggi sono circa una trentina, prima tra tutte il SIULP (confederale), poi il SAP (autonomo) e così via. Mi sono avvicinato attivamente al “movimento per la sindacalizzazione e smilitarizzazione della polizia” nel 1975, durante il corso sottufficiali a Nettuno, a fianco del compianto Angelo Giacobelli (1944-1987) e Francesco Forleo (1941-2018). Quest’ultimo diventato in seguito segretario generale nazionale del SIULP; entrambi “carbonari” in quel periodo storico e prime rarità tra gli ufficiali. Anni nei quali si era costantemente a rischio perdite del posto di lavoro o colpiti a “tradimento” da provvedimenti disciplinari da parte dei tanti censori.

Nel 1980, a Roma, ho avuto anche la fortuna di conoscere – diventando un suo collaboratore – Franco Fedeli, direttore di testate giornalistiche specializzate quali “Ordine Pubblico”, “Nuova Polizia” e “Polizia e Democrazia”. Fino al termine dei suoi giorni (1951-1997), Franco è stato per me una guida illuminata e uno dei più strenui fautori della smilitarizzazione e sindacalizzazione della polizia. Un amico e vero eroe in abito civile, un combattente testardo, molto più di un padre fondatore.

Essendo stato un “apprendista sindacalistica”, oggi mi chiedo perché, oltre a dedicarmi alla carriera in polizia, decisi di occuparmi anche del sindacato? Per rispondere alla domanda riporto fedelmente una frase scritta da mia moglie Cristina, prezioso angelo custode nel mio percorso di vita, in occasione del settantesimo compleanno avvenuto lo scorso 10 agosto: “… se fossi una qualità, saresti la generosità per il tuo schierarti sempre dalla parte dei più deboli incurante delle conseguenze…”. È bene rilevare che il sindacato di polizia alle origini ha dovuto combattere per ottenere il riconoscimento sul campo dei diritti fondamentali che spettavano per legge ai poliziotti. Quando ancora non esistevano un contratto e/o una vera tutela personale. Il più delle volte ci si confrontava con una classe dirigente che aveva mantenuto una mentalità prettamente militare e che si preoccupava di tutto, tranne che delle condizioni di disagio in cui operava il personale.

È risaputo che in quegli anni tutto ciò che accadeva in Italia, si tramutava in un problema di ordine pubblico, con le evidenti ricadute sugli operatori di polizia, privi di qualsiasi tutela lavorativa. Dal 1981, data di entrata in vigore della legge di riforma della polizia di Stato, fino al momento in cui ho lasciato il servizio nel 2010, ho ricoperto cariche sindacali direttive a livello locale, provinciale, regionale e nazionale, senza soluzione di continuità.

Spesso e volentieri ritenuto “scomodo” dai superiori gerarchici, così come, a volte, considerato “ingombrante” dagli stessi colleghi sindacalisti, che nel tempo non hanno disdegnato sgambetti dolosi e/o a tradimento, barattando – a volte – anche, e non solo, l’amicizia per una poltrona o “40 denari”. Per questo occorre sempre avere timore di quelli che sanno fare peggio o meno di te. Ovviamente ho avuto anche la fortuna di conoscere dei formidabili “maestri” di vita e sindacali, ai quali ho sempre cercato di “rubato” il meglio. 

Purtroppo, a quei tempi, chi rappresentava l’Amministrazione guardava più agli effetti che non alla causa delle vertenze. Veniamo ora al primo incidente di percorso – non come poliziotto – ma come sindacalista

Atto primo: dicembre 1998. La sezione di Cesena del SIULP divulgava un comunicato interno dal titolo “VERGOGNA”, che terminava con gli auguri di Natale e alcune strofe ironiche in rima con l’obiettivo di sollecitare un intervento del questore di Forlì Cesena sulle mancanze organizzative rilevate durante un servizio operativo, sotto copertura, nella capitale. Per tutta risposta, il questore, ritenendo lesa la sua maestà, querelò gli otto poliziotti/sindacalisti firmatari del documento (lo scrivente nella veste di segretario provinciale) per “diffamazione aggravata a mezzo stampa”. Con avviso di garanzia il Pubblico Ministero chiese il rinvio a giudizio per tutti gli imputati.

Atto secondo: giugno 2000. Quale segretario regionale Emilia Romagna del SIULP presentai un secondo documento dal titolo “IL SILENZIO DEGLI INNOCENTI”. Oltre a ripercorrere le fasi salienti della vicenda, lo scritto aggiungeva ulteriori “mancanze” addebitabili all’Autorità provinciale di Pubblica Sicurezza. Come accadde per il primo documento, fui nuovamente querelato, sempre per lo stesso reato. Accusa che in questo caso fu immediatamente archiviata dal GIP.

Atto terzo: maggio 2003. Nell’udienza preliminare il Giudice del Tribunale di Forlì dichiarò tutti gli imputati assolti perché “il fatto non costituisce reato”. Il PM, evidentemente non soddisfatto dell’assoluzione – così come il denunciante – presentò ricorso in Appello avverso la sentenza di primo grado.

Atto quarto: ottobre 2011. Il presidente della Corte d’Appello di Bologna dichiarò il “non doversi procedere nei confronti di tutti gli imputati”. Al termine di questa lunga vicenda giudiziaria, per certi versi costosa e anche dolorosa, durata tredici (13) anni, nessuno ha ovviamente “pagato” per il danno materiale, morale e psicologico subito dagli otto poliziotti/sindacalisti che operarono nel pieno esercizio delle proprie funzioni e prerogative sindacali. Questo è uno dei tanti esempi dell’attività sindacale, svolta dagli operatori di polizia, ai quali era riservato poco “onore” ma molti “oneri”.

Le ingiustizie andrebbero fermate sul nascere perché altrimenti procurano inutili sofferenze!

Infatti, nell’ottobre 2007, un altro “solerte” questore della Repubblica Italiana, non essendomi allineato come sindacalista al suo modus operandi, si accanì capziosamente contro la mia persona a livello penale, disciplinare e amministrativo. Uno dei provvedimenti attuati a tempo di record fu il trasferimento con effetto immediato dalla provincia di Forlì – alla stregua del peggiore dei poliziotti – a quella di Ravenna per incompatibilità ambientale. In questo caso, non avendo a sua disposizione episodi sindacali da sfruttare, fui deferito all’Autorità Giudiziaria a causa dei miei rapporti istituzionali con la stampa. Nel periodo “incriminato” dirigevo il Settore Ordine Sicurezza Pubblica Attività di Prevenzione ed ero Coordinatore dei Poliziotti di Quartiere presso il Commissariato di Cesena. Dopo circa un anno di braccio di ferro tra il sottoscritto (UILPS) e il questore di Forlì Cesena – con al centro il Ministero degli Interni – il fatto incriminato fu archiviato dall’A.G. perché non costituiva reato.

Come conseguenza a settembre 2008, per tutta risposta quale “pena accessoria”, il Direttore Generale della Pubblica Sicurezza – Capo della Polizia Antonio Manganelli – mi affidò il comando della Polizia Ferroviaria di Forlì Cesena. Anche questa vicenda, in sintesi, nel bene e nel male rientrava nella vita quotidiana di un operatore di polizia e sindacalista qualunque. Ragioniamoci sopra!

Il Vice Direttore Ugo Vandelli – Foto Redazione

Redazione IL POPOLANO

La Cesenate

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