UN BATTITO D’ALI SOLITARIE scitto da Paola Marchi

Accoccolata tra le umide lenzuola, avvinghiate ad un largo materasso, sdraiato su di un letto a due piazze, sbadiglio insonnolita e malinconica ad un giorno apparentemente simile a quello già consumato.
Mi strofino il volto con il palmo delle mani mentre le mie gambe allungate sfiorano con le dita intorpidite il bordo del lenzuolo che si muove, alternando collina e pianura fino a fuggire dal rincalzo ordinato e fissato nel tempo che fugge.
Un respiro profondo percorre i miei polmoni mentre le ciglia salutandosi lentamente si staccano con dolcezza l’une dalle altre, offrendo spazio alle mie pupille di osservare la tiepida luce, che fuoriesce da una persiana lievemente socchiusa, ed
accarezza nel presente la bianca tenda.

Mi alzo. A piedi scalzi, un poco barcollando tra l’inconscio dei sogni e la realtà della stanza che mi accoglie, allontano delicatamente il pezzo di stoffa pendulo sul legno del pavimento, dai vetri appannati e apro l’anziana persiana, che gracchia intorpidita dalla rugiada notturna ancora in vita.
Osservo il grande albero accarezzato da un sole ancora sornione ed il passerotto solitario, che si dondola su di ramo sottile. Ascolto il suo cinguettio ripetitivo per attirare l’attenzione dei suoi simili, che ancora non offrono sentore della loro
presenza in quel gruppo tanto affiatato di quel tempo che era stato.

Sospiro!
Mi soffermo, allungando le braccia sul davanzale.
Porgo le mani giunte come in preghiera e lo osservo mentre deglutisco un’acerba saliva.
Sbatto le ciglia rispecchiando quel suo agitare costantemente le alette e gorgheggiare presenza.
Non c’è nessuno.
Il vuoto assoluto.
Il sole pare sussurrare:
“Io faccio quel che posso in questa primavera sconsolata e triste!”
La quercia immobile sembra voglia sradicare le proprie radici per la prima volta ed andare a cercare anche solo una formica, che possa tenere compagnia, seppur ad una distanza consapevole il passerotto, che ormai non ha più voce e piange sconsolato ed infelice.

Anche il venticello che un tempo tanto si divertiva a giocherellare tra le foglie del grande albero, ora vaga impaurito con una mascherina per timore di incontrare quel fantasma, che nessuno ha mai visto ed infettarsi poi trasmettere anche con un solo
starnuto la malattia a chi non rispetta quel metro di distanza previsto.

“Ma io sono un vento, come faccio a stare rinchiuso in una botola di legno?”
Le margherite intimorite hanno timore della pioggia.
“Cosa c’è dentro a quella rugiada, che dal cielo piomba su di noi, senza chiedere permesso e non possiede alcuna autocertificazione di ingresso?”
“Si nasconde per caso qualcosa di malsano?”
Sembrano mormorare i petali preoccupati mantenendo lo spazio a loro designato.
Avverto nel qui e ora:
“L’eco tumultuoso di un mio sentire dentro, di un’orchestra interiore, che accompagna la mia saggezza ovunque io esista nel mondo, in una percezione che mi urla addosso”.

E’ un concerto di sensazioni ed emozioni, che si intersecano, si integrano, si prendono per mano e trovano il loro sano equilibrio in un girotondo progressivo e costante, che non tiene conto di distanze, all’interno di colei che sono.
Questo agente tossico, che non si mostra lo percepisco in metafora come il Giudice di un Tribunale confiscato, che spara al mondo da una postazione invisibile e sorda.
Una punizione universale che non tiene conto di un passerotto che vuole cantare, dell’aiuto che offre un grande e saggio albero, del sole ipnotizzato di timore, delle margherite private dal desiderio d’annegare in una rugiada salutare e del vento che si
tormenta e soffoca in una botola di legno.

Con una lacrima sul volto ed un singhiozzo soffocato in gola, mentre sto per chiudere il vetro di un finestra sgomenta, il passerotto solitario mi appare allo sguardo con un cinguettio acuto e potente agitando le alette senza perdere quota, pur mantenendo le distanze dalla persiana di color verde, che mi protegge all’interno della stanza.
Mi osserva.
Lo osservo.
Sento relazione a distanza dietro ad un umido vetro.
Percepisco empatia, comprensione ed accettazione positiva del momento presente.
Avverto un fuoco dentro di me, come fosse un ceppo acceso nel buio presente.
Saluto il passerotto con un battito di ciglia.
Lui mi rispecchia con la sua aletta.
A domani, amico mio, al di là di una pandemia, c’è costantemente la Vita!

Redazione IL POPOLANO

La Cesenate

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