In Italia siamo bravissimi a lamentarci, ma quando c’è da protestare seriamente spesso ci tiriamo indietro. Sarà un problema genetico? Una questione di stampo culturale? Mistero…

Ad ogni modo, la nostra incapacità nell’ambito della protesta viene ampiamente cavalcata dalla classe dominante, che fa il bello e il cattivo tempo senza temere conseguenze. Pertanto, quando dall’Inghilterra arrivano notizie come quella riportata in seguito, viene da stupirsi e non poco: qui non insorgiamo per gli aumenti vertiginosi delle tasse, figuriamoci per le questioni etico-morali!

Recentemente, i deputati britannici hanno criticato in maniera molto dura le aziende del Paese che obbligano in modo illegale le donne a vestire particolari “dress code”, che prevedono ad esempio i tacchi alti. Questa è una forma di discriminazione sessista bella e buona che va fermata quanto prima, stando a al rapporto redatto dal Women and Equalities Committee. Nonostante la pratica sia vietata dall’Equality Act del 2010, tante società continuano a indicare un vestiario particolare alle loro dipendenti che in caso di rifiuto rischiano perfino di perdere il posto di lavoro.

Si chiede quindi che la legge venga inasprita, introducendo sanzioni per le aziende che violano le regole.

Il vespaio venne sollevato per la prima volta da una receptionist, Nicola Thorp, licenziata perché si era presentata al lavoro con le scarpe basse: questa donna era stata promotrice di una petizione che aveva raccolto oltre 150 mila firme e che ora verrà discussa in parlamento il 6 marzo.

Se non si fa sentire la propria voce è difficile che le cose cambino.

Redazione IL POPOLANO

La Cesenate

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui