Quando hai 14 anni, i sogni sono spesso legati al futuro che vorresti, una casa che rispecchi la tua personalità, un lavoro che soddisfi le tue esigenze senza per questo alienarti, un compagno con il quale poter costruire una vita d’insieme.
Io, a quell’età, sognavo di vivere in un Ranch in Colorado circondato da boschi di sequoie e animali vaganti, armato di una “Sholes & Glidden”, la macchina per scrivere che accompagnò l’arte e la creatività di Mark Twain, con la quale avrei scritto i miei capolavori. Ma il sogno più ricorrente, riguardava una ragazza che, nel mio subconscio, desideravo conoscere ardentemente. Altezza 1,70, longilinea, occhi e capelli neri, sorriso dolce e abbigliamento alla moda ma non eccessivamente trasgressivo.
A volte la incontravo su di un treno diretto a Vladivostok intenta a lavorare a maglia, altre volte era la titolare di una tintoria dove mia madre portava gli abiti a rinfrescare, in alcune occasione, che guarda caso coincidevano con una cena a base di peperonata insaporita con ½ litro di madera, sognavo di restare con lei chiuso in ascensore nel weekend di Ferragosto in una Cesena deserta. Di solito, in quest’ultimo caso, mi svegliavo di soprassalto imperlato di sudore con il cuore che batteva a mille e la salivazione azzerata.L’ossessione era tale che, a quella ragazza immaginaria, nel sogno, avevo dato anche una identità e una residenza; Maria Chiara Vasini, via Breece Dexter John Pancake, 14. Quando mi accorsi che passavo più tempo a dormire che a vivere la vita di un adolescente, chiesi al mio medico di famiglia di prescrivermi un prodotto che mi consentisse di vivere maggiormente la realtà quotidiana piuttosto che il sogno.
Sorridendo, Carlo Farnesi, che da almeno due generazioni si occupava della salute di casa Benazzi, mi consigliò un farmaco di nome “Renotil”, il quale, a detta sua, avrebbe risolto brillantemente il mio problema. Effettivamente, di lì a qualche giorno, smisi di sognare o, perlomeno, non ricordavo più nulla di ciò che sognavo. Da un lato ero dispiaciuto di non essere più accolto da una ragazza sorridente che non vedeva l’ora di incontrarmi per trascorrere qualche ora a parlare di musica, libri, cinema, mangiando un cornetto al whisky, ma ero anche felice di non essere costretto a vivere il sogno come qualcosa di reale. Il giorno della vigilia di Natale del 1982, che ricordo bene era un sabato, andai in libreria per acquistare in libro da regalare a mia madre quando, nel settore “saggi, romanzi storici e fantascienza”, la vedo, in carne e ossa, intenta a consegnare alla cassa due libri. Feci in modo di scontrarmi con lei così da fargli cadere i tomi riuscendo a leggerne i titoli: “Il grande disegno” di Philip José Farmer e “L’uomo e il cane” di Carlo Cassola.
Rimasi pietrificato ad osservarla mentre salutando la libraia usciva in strada confondendosi tra la folla dei ritardatari, regalandomi un sorriso. Era lei, ne sono certo, indossava una gonna kilt a scacchi rossi e neri, un maglioncino a collo alto nero, calze di lana nere, scarponcini dr. Martens e basco rosso. Non ebbi il coraggio di chiedere alla libraia quale fosse il suo nome e allora mi gettai nella folla sperando di individuare un basco rosso in un mare di papaline scure. La individuai mentre stava entrando nel dedalo delle viuzze del centro e riuscii a fermarla, non so come, prima che potesse svanire nel nulla. Si chiamava Maria Chiara, e questo era un dato giusto, ma non viveva nella via che avevo sognato ma bensì con la sua famiglia, maestra elementare, era unasuora laica, pertanto una religiosa a tutti gli effetti che ha fatto voto di castità, obbedienza e povertà ma ha scelto di non andare a vivere in convento o in un monastero, bensì nel mondo “normale”.
Quando le dichiarai il sentimento che provavo nei suoi confronti, mi diede una carezza sul viso facendomi capire che non gli era concesso avere un compagno o un marito, e che avrebbe preferito non vedermi più perché anche lei provava un’attrazione nei miei confronti e vivendo nella realtà “normale”, a stretto contatto con me, non sarebbe stato semplice, non invaghirsi o innamorarsi.Santa donna!
A cura di Marco Benazzi editorialista – Foto ImagoEconomica