Era una notte di quelle che si ricordano per le continue raffiche di vento tempestoso che soffiava tra i 90 e i 110 km/h. Non riuscii a chiudere occhio a causa dello stato di irrequietezza che mi procurava il sibĭlus del vento e allora decisi di alzarmi e preparare una tisana al tiglio e biancospino, certo che di lì a poco avrei cominciato a rilassarmi. Presi tra le mani il Manuale di psicogeografia di Daniele Vasquez ma dopo un paio d’ore, quando la rete di distribuzione elettrica subì una lunga interruzione, decisi che sarei uscito sfidando le intemperie. Fuori dal portone di casa, un albero sradicato si era letteralmente appoggiato su di una BMW i7 elettrica, tagliandola di fatto a metà.

Trovai un caffè notturno, frequentato non dal popolo della notte “movidiana”, ma da individui la cui tipologia di lavoro prevede turni da svolgere in piena notte: guardie, custodi, fornai e flâneurs, e mi sparai un paio di chiare non filtrate autoctone, per finire col giocare una partita a Palla 15 in solitaria. Al termine dell’entusiasmante gara di biliardo, decisi che dovevo tentare il colpo di fortuna, quello che capita in rarissimi casi e spesso e volentieri premia i principianti. Al Sali e Tabacchi acquistai una scatola di Toscanelli Barrique e giocai una schedina del SuperEnalotto, il cui prossimo jackpot era di 350.100.000 Euro, giocando i numeri che avevano segnato la mia vita: 9, 19, 62, 18, 10, 34, 6, 27 dove il sei era il Jolly e il 27 il Superstar.

Al mattino, dopo una doccia fredda e un’intera Bialetti da sei tazze, mi sentivo abbastanza sveglio per affrontare il monotono tran tran quotidiano. Mi fiondai ad acquistare un pallone a elio di grandi dimensioni facendomelo consegnare rigorosamente già gonfio, poi appesi al filo la schedina protetta da una busta in plastica sigillata e, dopo aver scritto sul pallone “Auguri” con un pennarello indelebile, lo lasciai libero di volare verso le nuvole. Il giorno seguente, controllai nella pagina del quotidiano il risultato dell’estrazione e, come era altamente prevedibile, nessuno dei numeri giocati erano stati estratti. La mattina seguente, di buonora, presi un treno per Bologna dove mi sarei incontrato, per un aperitivo, con Igor Ančić un vecchio compagno di università, oggi considerato dalla critica mondiale uno dei massimi poeti croati viventi.

L’appuntamento era per le 12,00 al Dandy caffè letterario, locale che adoro frequentare perché non rinchiuso all’interno del cerchio letterario pretenzioso, dove location, servizio e menù, il cui rapporto qualità/prezzo è ottimo, mi fa venire un’irrefrenabile voglia di scrivere. Visto la giornata assolata e la temperatura quasi primaverile, decidemmo di sederci in un tavolo all’esterno del locale, non prima degli abbracci di rito. Improvvisamente, dall’alto scese delicatamente un pallone a elio di grandi dimensioni, simile a quello che avevo liberato giorni prima a Cesena.

Era scoppiato, ma sul filo aveva una busta sigillata con all’interno una schedina del Lotto 7 croato, con giocati i seguenti numeri: 10, 38, 63, 59, 36, 19, 23. Sul pallone, ancora leggibile nonostante lo strappo causato dallo scoppio, c’era scritto una parola che, grazie a Igor, appurai fosse in lingua croata: “Pozdrav”. L’estrazione era prevista per la sera stessa. Presi ciò che rimaneva del piccolo areostato e lo gettai nel pattume lasciando la schedina all’amico poeta. Quell’episodio, così particolare se lo si accosta a quello creato da me in precedenza, mi confermò che dare ai numeri la libertà di esprimersi significa mettere in atto una vera e propria rivoluzione mondiale al ritmo delle lotterie!

A cura di Marco Benazzi – Foto Imagoconomica

Redazione IL POPOLANO

La Cesenate

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui