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Rodolfo Pucciano detto “Pucci”, era il titolare di una pompa di benzina situata sulla SS 9, via Emilia, nel tratto Cesena – Forlì. Annesso al distributore c’era anche un bar con licenza di Sali e Tabacchi, dove i clienti si fermavano per un caffè e un pacco di sigarette. Era solo un appoggio volante in attesa che le operazioni di rifornimento fossero terminate.

Quando, nell’estate del 2003, la struttura venne sottoposta a lavori di ristrutturazione, Pucci decise di rinnovare completamente anche il bar, trasformandolo in un luogo confortevole dove poter conversare magari sorseggiando un tè con qualche pasticcino piuttosto che un cognac d’annata, bevuto in uno sniffer, rispettando la regola delle tre C: Cafe, Cognac, Cigare, cioè bere una tazza di caffè, scaldando il bicchiere di cognac nel palmo caldo di una mano per poi berne lentamente 50-80 grammi e in ultimo fumare un sigaro. All’inaugurazione, con lui e suo fratello Casimiro al bancone, il locale era stracolmo, ma con molta probabilità, il motivo era da ricercare nel fatto che il buffet era gentilmente offerto dai fratelli Pucciano. Dalla mattina seguente, la clientela tornò quella di un tempo, con qualche defezione dovuta ad un piccolo adeguamento dei prezzi. Quando tutto sembrava perduto e l’ambizione di portare cultura e raffinatezza anche in un luogo che, storicamente, viene considerato di passaggio e privo di personalità, scemò fino a raggiungere il livello stradale, due angeli in gonnella, arrivate con il serbatoio a secco, cambiarono in pochi giorni il destino del “Bar Bianciardi.

Caridad e Maritza, due giovani di origini cubane, laureate entrambe a pieni voti in Scienze Sociali e Umanistichepresso l’University of Cienfuegos, giunte in Italia per partecipare ad uno studio socio-antropologico sull’italiano medio. Dopo un caffè, un cognac e un sigaro sottile e aromatizzato alla vaniglia, in compagnia dei fratelli Pucciano, riuscirono a farsi assumere in prova per un mese, così da dimostrare che una donna motivatadietro al bancone di un bar, avrebbe in poco tempo risollevato le sorti del locale, e così fu. Un mese dopo, dalle colazioni di prima mattina alle degustazioni di distillati pregiati a tarda notte, la clientela era decuplicata e i servizi collaterali, come la BiblioBianciardi, faticava a soddisfare la richiesta di prestiti librari con la formula: Lo leggi, ne parliamo poi ci beviamo qualcosa e fumiamo un sigaro. Naturalmente, Caridad e Maritza erano consapevoli che il vero motivo per il quale il Bar Bianciardi era diventato tanto celebre in città, non era certo legato allo scrittore al quale era intitolato, che peraltro, avrebbe anch’egli apprezzato la presenza fisica delle giovani bariste, ma esclusivamente ad una questione di numeri: 178, 86-81-88, 40, 38 più occhi verdi e i capelli castani. Allo scadere del periodo di prova,

Puccio cercò in tutti i modi di assumerle con un contratto a tempo indeterminato molto invitante anche dal punto di vista economico, ma il tempo dello studio per Caridad e Maritza era terminato.

Confessarono ai fratelli Pucciano il motivo per il quale si erano proposte e, prima di lasciare per sempre il “Bar Bianciardi”, che rispetto a prima del loro arrivo era profondamente cambiato, gli regalarono un consiglio su come mantenere quello standard qualitativo: “il cliente di un locale pubblico, ha bisogno di essere circondato da un ambiente che esprima la bellezza in tutti i suoi aspetti, dall’arredamento ai prodotti fino ad arrivare alle proposte culturali, e la ciliegina sulla torta è sempre un sorriso all’entrata e uno all’uscita.”

Da quel giorno, il “Bar Bianciardi” venne identificato come quello dedicato ad uno scrittore toscano anarchico ma anche ricordato come il bar delle ragazze sorridenti.

A cura di Marco Benazzi – Foto ImagoEconomica 

Editorialista Marco Benazzi

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