THE TIME MACHINE – L’inizio del viaggio
Questa estate, esattamente l’undici giugno, girovagando al Luna Park allestito in occasione della Festa del Santo Patrono, a poche centinaia di metri dal centro, in zona defilata, sono salito su di un’attrazione il cui nome era tutto un programma: The Time Machine, e ad un sognatore incallito al quale il termine “viaggio”, semplicemente, rispecchiava un forte desiderio di evasione dalla vita quotidiana, mi spinse a sedermi sulla poltrona rossa con poggiatesta che era, la copia esatta, di quella utilizzata nel film “L‘uomo che visse nel futuro” (The Time Machine) del 1960 diretto da George Pal e tratto dal popolare romanzo di fantascienza di H. G. Wells edito nel 1895.
Il Luna Park era ancora vuoto e il manovratore era intento a famigliarizzare con la ragazza dagli occhi di smeraldo che gestiva il tirassegno, ad un certo punto, spinsi, inavvertitamente la leva che azionava la macchina e tutto ciò che mi circondava, cominciò a girare in maniera vorticosa provocandomi una sensazione di stordimento che mi portò a perdere i sensi. Quando mi ripresi, la macchina era ferma e la leva, spezzata in due, era bloccata sull’anno “1973”. Attorno a me, il vuoto cosmico e un caldo africano. Con addosso solo una camicia a mezze maniche e un paio di jeans, sbuffando come una locomotiva a vapore, mi diressi verso il primo bar che trovai aperto, era tardo pomeriggio, mi sedetti ad un tavolo e dopo aver ordinato un cappuccino di soia, una brioche vegana e un bicchiere d’acqua naturale, la risposta del barista fu sibillina: “S’èl tam to pre cùl?”. Girandomi verso la porta del “Gabinetto”, notai che fermato con il nastro isolante c’era il calendario dell’anno “1973”. Domandai spiegazioni ad alcuni avventori che si presentavano come “mosche da bar”, i quali mi chiesero in un dialetto estremamente raffinato: “Ta ie dè in te sansveis, è…” e fu in quel preciso momento che mi resi conto d’aver realmente viaggiato nel tempo.
Era lunedì, 11 giugno e nel bar si festeggiava la vittoria del Cesena di Gigi Radice, in casa contro il Mantova guidato dal mitico Alfredo Foni, con gol di Scala e Carnevali. Il barista del covo dei tifosi bianconeri, Arnaldo Gucci detto “Palina”, era ancora in fibrillazione per il collegamento in diretta telefonica con il programma “Mike di domenica”, condotto da Mike Bongiorno. “Mister Allegria”, ad inizio dicembre ’72, si mise in contatto telefonico con il bar “Bianconero”, facendo domande legate alla voglia di promozione in serie A, ai colori sociali della casacca, che guarda caso erano gli stessi della sua squadra del cuore, la Juventus, in virtù di questa parentela cromatica e come buon augurio per il finale di campionato, il Mike nazionale, propose ai primi 200 tifosi che si presentavano al barista con un distintivo bianconero, un aperitivo offerto gentilmente da Mamma Rai. Quel brindisi portò fortuna ad entrambi i club: la Juventus vinse il suo 15° campionato e il Cesena salì, per la prima volta, in serie A. La mia mission, in questa stagione calcistica, sarà quella di identificare tutti i 200 vincitori dell’Aperi-Mike, con la speranza, a fine campionato, di aver riparato la “Time Machine” e di poter festeggiare un nuovo traguardo del Cesena, nell’estate del 2025.
L’APERI-MIKE
Nel 1972, al bar “Bianconero”, e in generale in tutta la città, gli aperitivi non erano ancora in voga, il vermouth e il brandy erano gli alcoolici più richiesti, vino a parte. Se la contesa tra i brandy “Stock 84” e “Vecchia Romagna”, vedeva vincere per distacco quest’ultimo, e non solo perché “creava un’atmosfera”, il vermouth più richiesto al bancone era il “Rosso Antico”, anche per motivazioni politiche, nato dieci anni prima, dalla sapiente unione di selezionati vini bianchi e di 33 erbe aromatiche, prodotto dalla distilleria “Jean Buton”, storica azienda fondata a Bologna nel 1820 dall’erede della famiglia di distillatori Buton, fornitori ufficiali della Casa Imperiale alla corte di Napoleone. Visto che il celebre presentatore era nato a New York, Arnaldo detto “Palina” un barista tipico di quegli anni, decise di creare un aperitivo a lui dedicato per rendere indimenticabile quel giorno, domenica 3 dicembre, creando un “Americano” con i seguenti ingredienti: “Rosso Antico”, Gassosa o (Gazzosa), Coca Cola, una scorza di limone, polpa della Bella di Cesena, tre gocce di angostura e ghiaccio q.b.
L’Aperi-Mike era nato e in quell’afosa estate, sarebbe diventato il prodotto più richiesto dagli avventori del bar “Bianconero”, accaniti tifosi o semplici simpatizzanti. Naturalmente, anche per un romagnolo del secolo scorso, era impensabile non accompagnare la bevanda con stuzzichini adeguati: uova sode sale e pepe, triangoli di piada con squacquerone, olive e capperi, erano il naturale accompagnamento all’aperitivo dedicato al “re del quiz”. “Palina”, soprannome dovuto alla conformazione del suo naso, era un tipico barista degli anni settanta, di quelli che generalmente indossavano un grembiule bianco o a righe, un cappello bianco e nero, lo stuzzicadenti all’angolo destro della bocca, Muratti Ambassador a quello sinistro e una camicia a maniche corte. Aveva i capelli lunghi e portava baffi e basette. Era cordiale e socievole con i clienti, creando un’atmosfera accogliente e familiare nel locale. Era abile nel preparare caffè espresso e altre bevande, e aveva una conoscenza approfondita dei vari tipi di caffè e delle diverse miscele. Era in grado di gestire il bancone e il servizio in modo efficiente, mantenendo sempre un sorriso sul volto. In generale, “Palina”, era un professionista diligente e appassionato del suo lavoro, che ogni giorno si dedicava ad offrire un’esperienza memorabile ai suoi clienti.
Alla prossima, nel passato per conoscere il presente e sperare nel futuro.
A cura di Marco Benazzi – Foto Archivio storico Vittorio Calbucci