Sul sito dell’Unesco è stato inserito l’esito della valutazione per l’iscrizione nella lista dei patrimoni dell’umanità della “Cava e cerca del tartufo”, da parte di un comitato di esperti mondiali che si è riunito a nella capitale francese. La decisione finale è attesa a metà dicembre, a conclusione di un iter di candidatura formalmente presentata dall’Italia a marzo 2020.

Nel nostro Paese la ricerca e la raccolta dei tartufi è una pratica complessa, con un’apposita normativa emanata per impedire che la ‘cava’ venga effettuata in modo da arrecare danno alle tartufaie sparse in diverse regioni. La legge del 16 dicembre 1985 n. 752, intitolata “Normativa quadro in materia di raccolta, coltivazione e commercio dei tartufi freschi destinati al consumo”, disciplina il settore, varata dopo l’incremento della raccolta del tartufo effettuata con pratiche non ecocompatibili. La normativa ha dato mandato alle Regioni di regolare la raccolta dell’eccellente tubero sul proprio territorio, stabilendo alcune regole comuni.

La ricerca del tartufo comunque è una pratica che richiede esperienza e costanza. Normalmente il tartufaio per trovare il prezioso cibo all’interno delle tartufaie utilizza un cane, il cui olfatto è indispensabile nell’individuazione del tartufo.

Tra i più pregiati, come pepite d’oro troviamo quello che si trova ad Alba, Acqualagna e Sant’Agata Feltria in provincia di Rimini. Ma anche in Calabria, in Umbria, Molise, Abruzzo, Toscana e Lazio non mancano le riserve dove scovare Il Tuber magnatum Pico con circa 200mila raccoglitori ufficiali che forniscono ristoranti e botteghe alimentari.

Il Direttore editoriale Carlo Costantini – Foto Piacenti

Redazione IL POPOLANO

La Cesenate

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