I social media (in particolare Facebook, Twitter e YouTube) possono essere usati nel campo della comunicazione e della promozione della salute?
Si, a giudicare da diverse esperienze internazionali e da alcuni studi condotti per misurarne l’efficacia. Si tratta, per ora, di studi di piccole dimensioni, non sempre rigorosi dal punto di vista scientifico, ma che vanno tutti verso una unica direzione: usando i social media si ottengono risultato migliori (in termine di modifiche di stili di vita) rispetto alla comunicazione tradizionale.

Esistono, per esempio, studi che dimostrano come la reiterazione di messaggi motivazionali contribuisca a ridurre il numero di fumatori, mentre altri dimostrano come la condivisione tra i propri amici su Facebook dell’intenzione di donare i propri organi contribuisca ad aumentare il numero effettivo di donazioni di organi.

Messaggi motivazionali, condivisione dei risultati raggiunti, possibilità di partecipare/interagire sono alla base di altri studi che dimostrano come Facebook sia in grado di aumentare il tempo dedicato all’attività fisica, e come Twitter possa aiutare a perdere maggiormente peso rispetto a coloro che non lo usano.
Nei paesi anglosassoni le istituzioni sanitarie (ma anche molti ospedali) usano da anni i social media per comunicare con il pubblico, per attivare programmi di promozione della salute e campagne di prevenzione, per informare in modo attivo e partecipativo i cittadini/pazienti e per ascoltare le loro storie e le loro richieste.
Tutto semplice? Non proprio. In Italia, a parte alcune realtà come quella di AIFA (https://twitter.com/Aifa_ufficiale), esistono alcuni problemi che frenano l’impiego dei social media da parte delle organizzazioni sanitarie. Da una parte il timore del confronto con gli utenti/cittadini, abituati a ottenere delle risposte quando usano i social in altri ambiti. Dall’altra la carenza di figure professionali (i social media manager, figure a metà strada tra il comunicatore scientifico, l’esperto di social media e il giornalista) preparate a gestire un nuovo genere di comunicazione. A cui occorre aggiungere la necessità di studi più rigorosi dal punto di vista scientifico che dia più peso alle evidenze finora osservate.

Chissà se un giorno comunicare la salute ai giovani attraverso Instagram o WhatsApp non sarà solo più cool ma anche più efficace.

A cura del Dott. Eugenio Santoro, IRCCS – Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri

Redazione IL POPOLANO

La Cesenate

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