SILVIA O AISHA?

Non eravamo preparati a Silvia Romano!
Non eravamo preparati al suo abito islamico, alla sua conversione presentata come una libera scelta nata dalla lettura del corano.
Eravamo impreparati, nonostante numerose pagine di letteratura sui sequestri raccontino il rischio di empatizzare, di restare prigionieri della sindrome di Stoccolma, che riempie di gratitudine le vittime verso i loro carcerieri, per il solo fatto di essere ancora vivi, seppur a pezzi.
Non eravamo preparati al suo sorriso, alla sua forza con la quale e’ scesa dalla scaletta dell’aereo che la riportava in patria, dopo 18 mesi di prigionia nelle mani feroci degli uomini di Al Shabaab.

Silvia non ha lasciato nessuno spazio alla commiserazione, al dolore e alla commozione da osteria, le sue lacrime sono rimaste nascoste nel lungo abbraccio con sua madre, come se la sofferenza dovesse solo essere intuita da chi la riveste del pudore, della dignita’ e forse anche dalla coerenza.
Ed ecco affacciarsi le due facce della stessa medaglia: Silvia la vittima o Silvia l’ingrata, per i detrattori, per i leoni da tastiera e gli odiatori seriali il passo e’ breve, e la lettura diffusa diventa Silvia l’arrogante, colpevolmente impreparata alla vita che si era scelta in Africa, e quindi responsabile della peggiore imprudenza, che non merita ne’ la diplomazia, ne’ l’intelligence, ne’ i soldi investiti nella sua liberazione.

Non siamo preparati a Silvia, come non lo eravamo stati per Giulio Regeni, entrambi imperdonabili imprudenti che insieme a tanti altri giovani scambiano la vita adulta per una vacanza nel mondo, e che scelgono deliberatamente di andare a cacciarsi nei guai, per sostenere i piu’ deboli, per affermare la giustizia sociale, sia quella di un sindacato, o delle comunita’ LGBT, in Kenia come in Egitto.
Se poi gli ideali appartengono a una giovane donna, l’impreparazione esplode di piu’ in giudizio, in morbosita’, anche sessuale, perche’ “gatta ci cova”, ci sara’ di mezzo un amante, un figlio, una gravidanza.

E allora cara Silvia, ci hai ingannato!
Dacia Maraini, una donna che ha vissuto l’esperienza della prigionia, che ha pagato piu’ volte il prezzo della liberta’, perche’ sì, cari signori, per le donne, la liberta’ ha sempre un prezzo alto, ci ricorda, a proposito di Silvia, che “ il mondo ha bisogno di giovani come lei, e per fortuna, ce ne sono tanti”.

Il messaggio di Dacia Maraini e’ che converrebbe cercare di essere un po’ piu’ preparati all’eccezionale, e meno giudicanti: i giovani quando sono realisti chiedono l’impossibile!
Ed e’ su questo aspetto che dovremmo tutti interrogarci forse: sul corpo di Silvia si sta combattendo lo scontro di civilta’.
Chi attacca Silvia per il vestito che indossa, giudicandola per la scelta religiosa che ha fatto, probabilmente non riesce nemmeno a sospettare cosa significhi stare nelle mani di criminali che ti considerano un oggetto che si da’ in cambio di denaro.

Dimostra di non essere in grado di mettersi nei suoi panni, e di comprendere come la fede, sebbene islamica, abbia potuto essere uno strumento al quale lei si e’ disperatamente aggrappata, per uscirne viva, per trovare la forza di andare avanti.
Non si puo’ essere liberi, nemmeno spiritualmente, quando si e’ nelle mani dei propri carcerieri.
Per Silvia, la religione puo’ esserle apparsa come salvezza.

L’unica che aveva.
Io penso che non si possa giudicare.
Silvia avra’ tutto il tempo di sottoporre la sua conversione alla prova della liberta’.
Nessuno di noi ha il diritto di entrare nella sua interiorita’, e stabilire cio’ che e’ vero, e cio’ che e’ falso.
Nessuno di noi puo’ pretendere che lei cancelli, nel giro di poche ore, cio’ che dentro di lei e’ successo in questi mesi.
E’ una scelta intima, sara’ la “sua”, e non potra’ mai essere ne’ discussa, ne’ decisa, pubblicamente!

A cura di Sandra Vezzani editorialista – Foto Getty Image

Redazione IL POPOLANO

La Cesenate

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui