Si potrebbe dire: L’Italia è un paese per vecchi!
Italia immobile, proprio come le sue imprese.

Piccole e medie realtà schiacciate da tasse e burocrazia, un costo del lavoro sempre più alto, scarsa produttività.
Problemi che conosciamo da anni, eppure non si muove quasi nulla al punto di farci rimpiangere i “bei tempi andati” (ma quali, poi?).
Dopo oltre un ventennio, si scopre che l’Italia, anche quest’anno, è ultima nelle previsioni della Commissione Europea sulla crescita del PIL.
Anche se quest’anno potremmo dire che il vero “scoop” è dato dalla penultima posizione della Germania che, udite udite, per una sorta di “Schadenfreude” (la gioia provocata dalle disgrazie altrui) rimane l’unica magra consolazione.

In questo caso però, direi, “mal comune” non è certo mezzo gaudio, anzi, è pure peggio, ahimè!
E’ superfluo dire che la nostra crescita asfittica ha caratteristiche strutturali. E dunque chi dovremmo ascoltare per primo?
Sicuramente le imprese, le quali sempre più dichiarano all’Istat che a costituire il maggiore ostacolo alla competitività sono gli oneri amministrativi e burocratici.
In più c’è da aggiungere la mancanza di personale qualificato e la difficoltà di reperirlo tout court.
E poi c’è impresa e impresa.

Quella di dimensioni micro, con meno di 10 addetti, ha caratteristiche e problemi molto diversi rispetto a quella che ha centinaia di dipendenti. La scarsità di risorse finanziarie, non è un caso, riguarda molto di più le realtà piccole, che comunque costituiscono la grande maggioranza delle realtà imprenditoriali italiane, ma anche quelle di dimensioni maggiori iniziano a tremare i polsi.
Lo si riscontra anche nelle motivazioni della mancanza di assunzioni. Nonostante l’aumento della occupazione, negli ultimi anni, siamo ancora a un livello così basso da farci rimanere tra gli ultimi in Europa, quanto a tasso di occupazione, pur non essendo certo ultimi per reddito.

Il ritratto che ne consegue è quello di un paese decisamente “vecchio”, in tutti i sensi, non dimentichiamo che non si fanno neanche più figli, e anche in quello che dovrebbe essere il suo aspetto più dinamico, quello delle imprese private, si risente il peso del nanismo aziendale e allo stesso tempo si respira la arretratezza del sistema pubblico.
Un paese sempre uguale, con problemi immutati, a cui forse va proprio bene così, viste le resistenze a ogni riforma, e la strisciante voglia di ritornare a fantomatiche epoche d’oro, reali o mitiche che siano.
Concludo suggerendovi di leggere un bel libro: “L come Lavoretti” di Riccardo Staglianò in cui si parla di occupazioni sottopagate di Uber, Airbnb e altre piattaforme che camuffano le loro miserie dietro il racconto della modernità.
Rischiando di consegnarci un futuro senza welfare.

La domanda da cui parte questo libro è: perchè di colpo, è diventato necessario arrotondare?
Staglianò racconta il progressivo e sin qui inesorabile svuotamento del lavoro. A partire dagli anni ottanta, il suo valore ha cominciato a degradare rispetto al capitale, e da allora, la caduta non si è mai arrestata. Dal racconto del presente l’autore individua i principali snodi di questo declino, dal pugno d’acciaio di Reagan contro i controllori di volo alla guerra della Thacher ai sindacati. Dalla delocalizzazione, alla moltiplicazione dei contratti atipici.
Dall’automazione che affida alle macchine ciò che prima facevano gli uomini, fino alla gig economy, altro che sharing, che, sotto la maschera della flessibilità, sta istituzionalizzando i “lavoretti”, distruggendo nel frattempo la società.
Perchè Uber, Airbnb e gli altri pagano tasse risibili nei Paesi dove producono ricchezza, che aumenterà il bisogno di lavoretti per arrotondare, in una spirale senza fine.

Siamo un Paese in forte difficoltà! Perchè siamo un paese vecchio, e mi verrebbe da dire, e concludo, perchè siamo un paese pieno di freni culturali e strutturali che impediscono di liberare le forze positive e dinamiche lasciate troppo a lungo, colpevolmente, imbrigliate. La principale ricchezza di un paese sono le persone, i suoi abitanti, un Italia migliore è possibile se sapremo ascoltare e saremo in grado di trasformare quelli che vediamo oggi come problemi in sfide e opportunità, da cui ripartire.
Per far questo però occorre competenza, professionalità, una “vision” e anche la giusta dose di “umiltà”!
Perchè il declino non è, come pensa qualcuno, un destino ineluttabile!

A cura di Sandra Vezzani editorialista – Foto Iorio

Redazione IL POPOLANO

La Cesenate

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