Ordinato baronetto dalla Regina nel 2002 nonostante le sue dichiarate simpatie indipendentiste per l’amata Scozia, Thomas Sean Connery ha compiuto 90 anni il 25 agosto. In italia lo abbiamo visto per l’ultima volta nel 2007 quando venne alla Festa del cinema di Roma per ritirare un premio alla carriera (il Marco Aurelio d’Oro) che fa bella mostra di se in una bacheca spoglia di riconoscimenti a dispetto della sua grande popolarità e di un successo planetario che dura ormai da decenni: un Oscar come miglior attore non protagonista (per “Gli Intoccabili” di Brian De Palma), tre Golden Globes, qualche riconoscimento ottenuto in patria e una trentina di premi alla carriera tra cui anche un Telegatto.

Ma Sean Connery, nato a Edimburgo, figlio di un camionista e di una cameriera, non ne ha mai fatto un dramma: “Scambierei perfino l’Oscar – ha detto – per una vittoria al Masters di golf. Ma non sono abbastanza bravo, purtroppo”. Va molto fiero invece delle sue lauree honoris causa alle università di Edimburgo e St.Andrews e dell’omaggio speciale riservatogli da Harward dopo la parte dell’ispido scrittore di “Finding Forrester”, diretto da Gus Van Sant nel 2000.

Ancora pochi mesi fa Sean Connery è stato confermato per acclamazione come il miglior James Bond della saga di 007. Difficile dire quanto ancora soffra di questa associazione obbligata con la maschera dell’agente segreto a cui in gioventù in realtà non diede molto peso: “Mi volevano fare un provino per avere il parere di Ian Fleming. Io mandai al diavolo i produttori e per poco non persi l’occasione della vita”.

Poi però cominciò ad esserne ossessionato tanto da interrompere bruscamente una storia iniziata nel 1962 con “Licenza di uccidere” dopo cinque successi planetari fino a “Si vive solo due volte” (1967). In seguito, tentato dal compenso e ormai sicuro dei suoi mezzi, riprese pistola e smoking d’ordinanza ancora due volte (“Una cascata di diamanti” e “Mai dire mai”) e sopportò perfino che suo fratello minore, il botanico Neil, si lasciasse coinvolgere in una improbabile ‘spy story’ italiana intitolata “Ok Connery”.

Sean Connery arrivò al cinema per caso, dopo che un’ulcera gastrica gli impedì nel 1950 di confermare la “ferma” nella Royal Navy dove si era arruolato a 16 anni, rinunciando a un contratto da calciatore. In cerca di lavoro fece di tutto, dal bagnino, al muratore, dal lava piatti al verniciatore di bare, si fece perfino fotografare nudo per un calendario e arrivò terzo alle selezioni di Mister Universo grazie all’alta statura e a quel sex appeal innato che ne avrebbe fatto un vero e proprio idolo del grande schermo. Da ragazzo frequentò un corso di danza e grazie a quest’esperienza cominciò a farsi le ossa sui palcoscenici off di Londra. “Guadagnavo appena di che vivere – ebbe poi a raccontare – ma a me sembravano vacanze ben pagate rispetto al lavoro vero”.

Nel 1957 debuttò nel cinema con l’avventuroso “Il bandito dell’Epiro” di Terence Young, il regista che gli darà la fama dirigendolo nel primo film di James Bond. Connery si cimentò in tutti i generi tra cinema e tv finendo anche nel cast all-star de “Il giorno più lungo”. Ma sarebbe rimasto un comprimario, per di più afflitto da precoce calvizie, se il caso non lo avesse portato verso l’agente segreto creato da Ian Fleming. Qual e’ la sua arma segreta? Si è parlato dello sguardo ‘killer’ con cui fulmina parimenti belle donne e pericolosi spie. Si è passato sotto silenzio il toupet imposto dalla produzione che gli conferiva un’aria più adulta; si è analizzato il fascino che tiene insieme la brutalità del killer e l’eleganza della spia in smoking con cui Fleming aveva costruito il personaggio (pensando però a attori più sofisticati come Hoagy Carmichael o Cary Grant).

Per sfuggire al cliché di 007, Connery ottenne di alternare il ruolo-principe con altri film: non fu fortunata la sua collaborazione con Hitchcock. Per “Marnie”, che tuttavia rimane una grande pellicola, il regista ammise di aver preso un abbaglio credendolo un nuovo Cary Grant. Andò meglio con Sidney Lumet di cui interpretò “La collina del disonore” nel 1965. Cominciò così a costruirsi un nuovo personaggio coraggioso, macho, ironico, romantico in “I cospiratori” di Martin Ritt, “Riflessi in un occhio scuro” ancora con Lumet, “Zardoz” di John Boorman, fino a tre capolavori del cinema d’avventura come “Il vento e il leone” di John Milius), “L’uomo che volle farsi re” di John Huston e “Robin e Marian” di Richard lester alla metà degli ’70.

Con l’età Sean Connery è diventato un divo e un attore sicuro di sé. Lo dimostra in progetti particolari come quello con Terry Gilliam ne “I banditi del tempo”, con Fred Zinnemann in “Cinque giorni, un’estate”, fino al trionfo planetario de “Il nome della rosa” nel ruolo dell’inquisitore detective Guglielmo da Baskerville tratto dalla penna di Umberto Eco.

Con 94 film alle spalle, 10 avventure come produttore e una regia all’attivo (il documentario “The Bowler And The Bunnet” del ’67, per tutti gli anni ’80 e ’90 ha potuto scegliere i ruoli preferiti e se qualche volta si è pentito, come a dichiarato per il ruolo in “The avengers”, ha detto di aver molto amato “Gli intoccabili”, “The rock”, “Entrapment”, “Indiana Jones e l’ultima crociata” – nel ruolo del padre di Harrison Ford – “La casa Russia”.

Forse non lo ammetterà mai, ma certamente ha mancato due occasioni storiche come il ruolo di Gandalf nel “Signore degli anelli” e quello di silente in “Harry Potter” (per cui era stato molto corteggiato), mentre si vanta di aver indossato ben quattro volte i panni di un re, da Artù a Riccardo Cuor di Leone. Padre affettuoso di Jason e nonno del giovane e Dashiell, non ama stare a Hollywood, ha avuto pochi amici tra i colleghi – in particolare Richard Harris e Michael Caine – ha sposato in prime nozze Diane Cilento e nel 1975 la pittrice Micheline Roquebrune.

Dopo il suo ritiro dalle scene nel 2006 i media hanno ipotizzato che fosse affetto dal morbo di Alzheimer, ma Sean Connery è riapparso in pubblico al torneo di tennis di Flushing Meadows nel 2017 e nel ritirare un premio alla carriera ha detto: “I miei piedi stasera sono stanchi, ma il mio cuore e il mio cervello proprio no!”.

A cura di Samanta Costantini – Foto Ansa

Redazione IL POPOLANO

La Cesenate

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