Durante il consueto briefing di redazione al quotidiano online “IlPopolano.com”, il Direttore editoriale Cav. Carlo Costantini, in una pausa di lavoro, a poche ore dal passaggio del Giro d’Italia 2022 – che mercoledì 18 maggio transiterà in città verso le ore 13.00, scortato come sempre dalla Polizia Stradale – si è voluto soffermare su un piacevole ricordo.

L’allora famoso “serpentone”, formato dai motociclisti in esercitazione del Centro Addestramento Polizia Stradale di Cesena. Nell’occasione, visti i miei trascorsi, mi ha chiesto come si svolgessero le lezioni. Immediato il flashback che mi ha riportato alla scuola cesenate (1971-1991).

Premessa. Dopo essere stato dal ‘68 al ‘71 a Piacenza, con frequenti servizi di ordine pubblico a Milano, fui trasferito a Cesena. Questo fu per me un sogno che si trasformò in realtà. Lasciare un reparto inquadrato; avvicinarmi ulteriormente alla mia città, Bologna; ottenere la possibilità di entrare nelle fila della Stradale, all’epoca molto ambita e fiore all’occhiello della Polizia.

Sei mesi di corso, dopo di che, superati gli esami, il Ministero mi assegnò al CAPS quale istruttore di scuola guida: auto-moto e mezzi pesanti. Tra le varie lezioni teorico-pratiche che si svolgevano durante i corsi, quella che attraeva di più i frequentatori (a onor del vero anche gli istruttori) era la cosiddetta motoconduzione.

È doveroso ricordare che all’epoca la Polizia Stradale operava quasi esclusivamente in moto, con il sole o sotto la pioggia. Infatti, i pattuglianti erano considerati “centauri”; metà uomo e metà moto. I frequentatori (le donne si avvicinarono alla specialità solo a metà degli anni ‘80) erano impazienti – terminata la fase teorica – di evidenziare le proprie capacità sulle due ruote: sgassare, curvare, correre. Forse in futuro avrebbero percorso le arterie italiane di pattuglia, oggi ben altro li aspettava.

La giornata tipo. Alle ore 8.00, la prima operazione dei trenta allievi comandati per quel giorno – il Centro ospitava 450 frequentatori – era quella di portare le moto a spinta, per ragioni di sicurezza e per fare i muscoli, fuori dal garage sotterraneo e allineare le Guzzi 500 o le V7 in cortile. Poi, all’ordine motori, s’iniziava con qualche giro, in fila indiana, all’interno della scuola, un po’ per scaldare le moto o anche perché non tutti erano ancora in grado di controllare a dovere il mezzo. Di regola gli istruttori impiegati erano tre o quattro. Uno apriva la colonna e uno la chiudeva, mentre gli altri due, cosiddetti “movieri”, provvedevano – una volta immessi tutti i mezzi nel traffico cittadino – a bloccare gli incroci al transito della colonna dei motociclisti, per evitare l’effetto fisarmonica ed eventuali tamponamenti.

Compito non facile essendo sempre in corsia di sorpasso per darsi il cambio dalla coda alla testa dopo il passaggio nei crocevia di tutto il serpentone. Ovviamente, sempre attenti e presenti nell’affrontare gli imprevisti che, durante una lezione di scuola guida, non mancavano mai. I percorsi scelti, secondo il grado di preparazione degli allievi, favorivano spesso la montagna con tornanti a gomito che rendevano il tragitto, irto di difficoltà e, come si usava dire “per farsi le ossa”, prima di passare al secondo livello d’istruzione, che prevedeva le lezioni sul percorso d’ardimento interno.

Mercato Saraceno, Sarsina, Bagno di Romagna, percorrendo la vecchia strada statale71, era l’itinerario più gettonato per le sue caratteristiche. In alternativa deviazione per Perticara, Novafeltria, Carpegna. Paesi scelti ad hoc, perché si doveva prevedere, durante la sosta panino, il parcheggio di oltre trenta moto, più il Fiat 643 adibito al recupero dei mezzi in avaria e/o incidentati. Rientrati al Centro verso le 13.00, si pranzava, per poi uscire nuovamente alle 15.00. Il pomeriggio era dedicato a percorsi più brevi: in collina a Polenta di Bertinoro, o verso zone pianeggianti, quali Cesenatico, Cervia o Lido di Savio. In queste ultime località, di mia iniziativa, inserivo una variante alla lezione. Addestramento con la moto in spiaggia, ovviamente nei mesi non frequentati dai bagnanti, e lì sai le cadute, senza danni particolari alle persone o alle moto. Infatti, una legge non scritta del buon “stradalino” prevedeva che non si diventava veri motociclisti se non si era assaggiato il duro asfalto, o nel nostro caso, la più morbida sabbia.

Al rientro in sede, verso le 18.00, dopo una breve riunione, per evidenziare le “negligenze” rilevate durante la giornata dagli istruttori, si passava al rifornimento e lavaggio delle moto, pronte per essere utilizzate la mattina seguente da un altro gruppo di allievi stradalini. Nei venti anni presi in esame, sono centinaia di migliaia i kilometri che ho percorso in sella alle due ruote, sia per la formazione degli allievi che in servizio di vigilanza stradale. Di contro sono stati tanti gli episodi curiosi che mi sono capitati. A volte interessanti o particolari, a volte deludenti o pericolosi. Uno tra tutti mi è restato impresso nella mente, e per questo lo voglio raccontare.

La testa tra le nuvole. Un giorno come tanti altri, comandato nell’esercitazione esterna in moto, decisi di dirigermi con la colonna a Rimini, percorrendo la via Emilia. Giunto a destinazione, essendo ancora presto per la pausa caffè, presi la strada per San Marino. Oltrepassato Dogana e Serravalle, senza pensarci troppo, continuai a salire in direzione del Titano. Nel frattempo cominciai a notare che gli automobilisti e anche i pedoni che incrociavamo ci osservavano con sguardi, non di curiosità, come di solito avveniva, ma di meraviglia. Non dimentichiamo che la colonna era formata da oltre trenta motociclisti muniti di arma corta e una campagnola che chiudeva il lungo corteo. A questo punto cominciai ad avere dei dubbi e farmi delle domande!

La risposta che mi diedi fu immediata e alquanto imbarazzante: stavo “invadendo” uno Stato estero con un plotone di militari armati. Aiuto! Cosa fare? Senza pensarci troppo alla prima piazzola feci una veloce inversione di marcia con tutto il contingente riuscendo a uscire dal territorio sammarinese poco prima dell’arrivo di alcune pattuglie della Gendarmeria che erano state prontamente allertate.

Il grave episodio arrivò ovviamente sul tavolo dei miei superiori al CAPS e di conseguenza anche al ministero dell’Interno. L’episodio causato in perfetta buona fede, fortunatamente, fu ridimensionato e non ebbe gravi conseguenze, anche se rischiò di tramutarsi in un caso diplomatico internazionale.

Il vice Direttore Ugo Vandelli – Foto Repertorio

Il Vice Direttore Ugo Vandelli

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