Nonostante sia il più giovane degli strumenti acustici, la batteria è anche quella con origini più antiche, quasi ancestrali: insieme alla voce, le percussioni sono infatti tra i i primi strumenti utilizzati dall’uomo in ogni cultura. E il ritmo è l’esperienza sonora con cui veniamo in contatto ancor prima della nascita attraverso il battito del cuore. In origine le varie parti di cui si compone la batteria erano suonate ognuna da un musicista diverso. La formazione era quella delle “Marching  Band“: un gruppo di musicisti che, su imitazione delle bande militari, si riuniva per suonare (soprattutto percussioni e ottoni) camminando per le strade.
La tradizione nasce nella seconda metà dell’Ottocento a New Orleans  e in tutte quelle aree degli Stati Uniti del Sud in cui era stato più massiccio l’arrivo degli schiavi africani, custodi di un senso del ritmo totalmente potente da dare poi origine al jazz. Agli inizi del Novecento la nascita dei primi locali in cui suonare musica – spesso nascosti, ancor più spesso aungusti – crea il problema di trovare una maggiore compattezza nell’uso della batteria. Nei primi set (chiamati double  drumming) si accorpa quindi, a partire dal rullante e grancassa che cominciano a essere suonati da un unico musicista, il primo con le bacchette.
Nel 1909 il percussionista americano William Ludwig  inventa il pedale per la grancassa regalando una nuova libertà d’azione. La pedaliera consiste di un attrezzo formato da un sistema a molla che permette di azionare un asta in metallo che ha alla base un cilindro di feltro.
“Con l’arrivo delle nuove ondate migratorie, ciascuna delle quali è portatrice di nuovi saperi e nuove tradizioni culturali la batteria si arricchisce di ulteriori elementi. Wood block, e tamburi dalla Cina, che poi daranno origine a tom e timpano, mentre l’esperienza dei turchi nella lavorazione di rame e ottone consentirà di realizzare piatti più leggeri e martellanti grado di ottenere effetti sonori differenti.
Il wood block è un piccolo tamburo fessura ricavato un’unico legno. Il termine indica normalmente lo strumento orchestrale occidentale, sebbene discenda dallo xilofono cinese. Nomi alternativi a volte usati nel regime e nel jazz sono il clog box e il tap box.
Negli anni Venti è ancora William Ludwig ad implementare lo strumento. Osservando il modo di suonare del jazzista Baby Dodds, nota che batte continuamente il piede libero dall’uso del pedale della cassa. Così sviluppa una prima forma di Charleston a pedale che originalmente si trovava poco sopra l’altezza del pavimento. Negli anni successivi viene realizzata un asta più alta per permettere al batterista di poter suonare i piatti anche con le bacchette, oltre che con il pedale, e creare così nuovi patern ritmici.
A quel punto era nata la batteria, così come oggi la conosciamo. L’ultimo tocco di modernità lo regala nel 1964 Ringo Starr che, suonando con i Beatles all’Ed Sullivan Show davanti a 73 milioni di telespettatori, rende improvvisamente popolare la “maschera grip“, un impugnatura che utilizza lo stesso sistema simmetrico per entrambe le mani (al contrario della “trdizional“, di derivazione militare, nota per agevolare i movimenti durante le parate)”.

Uno dei batteristi più interessanti del panorama della Musica Jazz in Italia è il batterista Roberto Gatto.
È uno dei maggiori batteristi italiani, nato a Roma nel 1958, inizia a suonare la batteria da bambino seguendo suo zio, musicista di estrazione progressive. Ascolta i lavori discografici di James Brown, Jimy Hendrix, Cream, ma anche i pianisti Band leader Duke Ellington, Count Basie e il sax tenore John Coltrane. Dopo alcune apparizioni da adolescente nell’ambito delle scena rock-progressive della capitale, esordisce come batterista di Musica Jazz nel 1975 nel “Trio di Roma“, insieme a lui pianista Danilo Rea è il contrabbassista Enzo Pietropaoli.
La formazione si esibisce al Music Inn di Pepito Pignatelli accompagnando nello stesso tempo musicisti stranieri di grande eccellenza di passaggio a Roma. Roberto Gatto milita poi nelle formazioni del sassofonista Maurizio Giammarco e nel trio del pianista Enrico Pieranunzi, con cui incide nel 1978 un’opera discografica dal titolo “From Always to Now“.
A metà degli anni Ottanta il batterista romano entra a far parte del progetto di una formazione chiamata “Lingomania” – di cui di è leader e fondatore il sassofonista Maurizio Giammarco – per poi dare vita alla alla sua attività solistica con opere discografiche, pubblicati per l’etichetta italiana Gala Records: “Notes” del 1986 e “Ask” del 198, con la partecipazione del sassofonista Michael Breacker  e il chitarrista John Scofield.
Collabora inoltre nel corso con nomi prestigiosi del panorama jazzistico, tra i quali il trombettista Enrico Rava “con il quale dichiara di avere un legame artistico del tutto particolare”, il pianista Luca Flores, il sassofonista George Coleman, il pianista Dado Moroni, il trombettista Chet Baker, il chitarrista John Abercrombie e tanti altri.
Nell’ambito della Musica Leggera ha collaborato con artisti del calibro di Mina, Lucio Dalla, Pino Daniele, Ornella Vanoni, Gino Paoli, Ivano Fossati, Riccardo Cocciante, Sergio Caputo e Teresa de Sio. Il batterista romano si è occupato di cinema con la composizione di colonne sonore per film importanti della cinematografia italiana, da: “Nudo di Donna”, in collaborazione con il sassofonista Maurizio Gianmarco,  “Mignon è partita“, con Battista Lena e per “Verso di Sera” e “Il grande Cocomero“, della regista Francesca Archibugi.
Dotato di un’eccellente padronanza tecnica e ritmica in cui si fondono potenza e eleganza e senso  melodico, Roberto Gatto è considerato uno dei migliori batteristi europei con all’attivo vari importanti riconoscimenti, tra i quali: miglior batterista italiano, nel 1983 dal mensile “Fare musica”, nel 1991 e nel 1992 da “Guitar club”, è nel 1993 dalla rivista “Percussioni“.
Durante la sua intensa attività concertistica si è esibito in dieci edizioni dell’Umbria Jazz Festival e ha  tenuto concerti in celebri teatri come l’Olympià di Parigi nell’ambito del “Paris Jazz Festival“, al Berklee School Auditorium di Boston  e al Blue Note Jazz Club di New York. Anche la didattica non è da meno ricopre da sempre un posto significativo nella sua lunga carriera professionale: docente per molti anni ai corsi di Siena Jazz e in seguito titolare della Cattedra di batteria jazz al Conservatorio di Santa Cecilia. Nel corso di una lunga e fortunata carriera che lo ha portato al vertice del jazz italiano, del quale è uno dei musicisti più rappresentativi, Roberto Gatto ha iniziato a spostarsi dal ruolo di sideman di lusso a quello di leader, creando una serie di gruppi che, c’era da aspettarselo, hanno raccolto sempre un’immediato successo.
Senza smettere di arricchire un curriculum di collaborazioni nel quale spiccano i nomi di Johnny Griffin, George Coleman, Curtis Fuller, Joe Zawinul,  Pat Metheny, oltre che i principali musicisti italiani, ora Roberto vive fra Roma e New York e coltiva innanzitutto la propria musica. Dopo una serie di situazioni più legate alla tradizione jazzistica (come gli omaggi in quartetto a Miles Davis e a Shelly Manne), recementesi e rivolto a esplorare nuove sonorità, sulla scia del suo progetto di qualche anno fa che ripercorrerà repertorio del progressive rock, con l’innovativo PerfcTrio e l’omaggio a Frank Zappa insieme ai Quintorigo.
Con questo nuovo quartetto,  Roberto Gatto ritorna alla dimensione acustica con tre giovanissimi compagni di palco, sicuramente tra i più promettenti musicisti della nuova generazione del jazz italiano: la collaborazione con giovani talenti non gli è nuova e viene spontaneo il riferimento all’impegno e alla dedizione all’insegnamento da parte di un grande artista che nonostante il successo a livello internazionale continua a spendersi per la formazione dei musicisti di domani. Ancora una volta il leader batterista, da ottimo organizzatore sonoro, costruirà con mano leggera e mai prevaricante un percorso variegato e sempre piacevole attraverso le cadenze di varie culture, con brani originali e a firma di diversi autori; atmosfere e ritmi dei diversi caratteri senza però perdere mai di vista la grande tradizione e soprattutto l’indispensabile swing, come nella migliore tradizione jazzistica all’insegna della improvvisazione.
Il quartetto, formato dal batterista Roberto Gatto, dal pianista Alessandro Lanzoni, dal trombettista Alessandro Presti e dal contrabbassista Matteo Bortone è senza dubbio una formazione di notevole elevatura tant’è vero che ha avuto da parte del pubblico notevole apprezzamenti anche da parte della critica più esigente. Impostosi sulla scena jazzistica nazionale a metà degli anni Settanta, Gatto, con un percorso che non conosce battute d’arresto da circa quarant’anni – non a mai esaurito la sete di ricerca e sperimentazione.
Caratteristica quest’ultima che, unita a straordinaria perizia, ha condotto il batterista romano a scrivere parte della storia del jazz italiano. Tolte le vesti di prestigio sideman a fianco di protagonisti nazionali, il trombettista Enrico Rava,  il pianista Enrico Pieranunzi ed i internazionali quali Johnny Griffin, John Abercrombie, Chet Baker, Steve Lacy, Pat Metheny,  Bob Berg,  Curtis Fuller,  George Coleman e Joe Zawinul.
Gatto ha intrapreso con maggior vigore l’attività di leader dando vita a proprie formazioni foriere di progetti originali, mai scontati. Da citare in tal senso l’apprezzato PerfcTrio completato da Alfonso Santimone e Pierpaolo Ranieri, il recente New York Quartet, indice di sempre più frequenti soggiorni nella Grande Mela, che vede il batterista dialogare con gli ottoni della giovanissima sasdofonista cilena Melissa Aldana, accanto a Nir Felder e Joe Lepore, e l’ultimo nato PlayZappa, con i Quintorigo,  un lavoro soprattutto live dedicato a uno dei suoi artisti più amati definito il migliore e più convincente omaggio jazz alla musica di Frank Zappa.
Roberto Gatto prosegue la sua attività regalando ancora tanta musica e tante emozioni al pubblico, con le varie formazioni da lui campeggiatori come leader.
A cura di Alessandro Poletti – Foto Repertorio
Redazione IL POPOLANO

La Cesenate

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