Un corpo che penzola dal ponte dei Frati Neri, a Londra. La brezza del Tamigi lo fa dondolare. E’ quello di Roberto Calvi, chiamato “ il banchiere di Dio”.
La vita di Roberto Calvi, celebre banchiere milanese degli anni 70 ed 80, costituisce un fulgido esempio di finanza malata, spregiudicatezza morale e totale assenza di valori e diventa talmente complicata, nel suo estricarsi, da terminare in modo quasi cinematografico.
Come tutte le persone che hanno la fortuna di nascere in una famiglia benestante (figlio di un dirigente della Banca Commerciale Italiana), si iscrive all’Università della Bocconi alla Falcoltà di Economia e Commercio.

Viene assunto alla Banca Commerciale ma comprende subito che il suo destino è un altro: dopo solo un anno di lavoro ottiene un posto al Banco Ambrosiano, grazie alle amicizie di famiglia con Alessandro Canesi, uno degli elementi di spicco dell’Istituto e, in pochissimi anni, ne diviene il
Presidente. Parla Poco, Roberto Calvi, ma l’è svelt, è svelto, come dicono i suoi colleghi di lavoro a Milano. Il Banco Ambrosiano era un istituto legato allo IOR. Una “banca cattolica” per così dire, che si proponeva di offrire credito mantenendo formalmente i principi del cristianesimo, al punto che per diventarne soci era necessario il certificato di battesimo e di buona condotta firmato da un parroco.

Roberto Calvi è un uomo non certo legato a una vera e profonda fede, ma intuisce il potenziale di cui si trova a disporre. In quanto Presidente dell’istituto intrattiene affari con uomini come Michele Sindona, (il responsabile del fallimento della Banca Privata Italiana, Licio Gelli (Maestro della famigerata P2) e Paul Casimir Marcinkus (Arcivescovo e Presidente dello IOR, la nota banca vaticana). E non mancano esponenti della politica, mafiosi e addirittura membri deviati dei srvizi segreti, italiani e americani.

Alla metà degli anni ’70, il banchiere milanese è uno dei nomi di riferimento della finanza italiana e internazionale. Iniziano ad arrivare generose donazioni di milioni di lire del Banco Ambrosiano o di società controllate. La finanza spregiudicata di Roberto Calvi si allarga sul profilo internazionale, al punto di creare un insieme di cosiddette “società fantasma”, create nei cosiddetti paradisi fiscali. O di acquistare istituti di credito stranieri, come la Banca del Gottardo, la fondazione della Banco Ambrosiano Holding o la Cisalpine Overseas con l’arcivescovo Paul Marcinkus.
Gli anni di piombo volgono al termine, e nel frattempo sulla scena italiana inizia ad affermarsi una nuova idea di potere, sempre più legata al mondo della finanza internazionale. Senza dimenticare che, in piena Guerra Fredda, spostando capitali si può decidere la sorte di interi governi. Ed è
proprio tramite la “banca dei preti” che il Vaticano, in quegli anni, appoggia e finanzia realtà come le dittature sudamericane, in un’ottica di contrasto al comunismo.

Con un po’ di impegno, anche il più comune faccendiere può diventare estremamente influente, purché mantenga i giusti rapporti e dimostri la propria lealtà. Nel 1978 la Banca d’Italia decide di vederci chiaro: gli incaricati scoprono e denunciano molte irregolarità nei conti del Banco, che negli anni successivi avrebbe affrontato una enorme crisi di liquidi. A soccorrerlo, sarebbero intervenuti i finanziamenti della Banca Nazionale del Lavoro e dell’ ENI, che versarono qualcosa come 150 milioni di dollari. Un secondo crack, del 1980, sarebbe stato ripianato con altri 50 milioni di dollari da parte di ENI.

Ma ormai la situazione è incandescente. Roberto Calvi, che nel frattempo è tallonato anche da campagne diffamatorie ordite da Michele Sindona, al quale aveva rifiutato un prestito, si trova anche sprovvisto dalla protezione della loggia P2, la cui appartenenza gli ha garantito un certo tipo
di sostegno e di riparo dalle azioni della Magistratura. Quando nel 1981 viene scoperta la loggia, Roberto Calvi non ha più nessuno che lo avrebbe potuto aiutare. Chiede aiuto allo IOR, ma poco dopo viene arrestato e condannato per reati valutari.
E’ oramai un uomo solo e abbandonato da tutti.

La lettera indirizzata direttamente al Papa, è intrisa di una disperazione profonda e di un ultimo, altrettanto disperato, tentativo di salvezza: “Santità, sono stato io ad addossarmi il pesante fardello degli errori nonché delle colpe commesse dagli attuali e precedenti rappresentanti dello IOR, comprese le malefatte di Sindona; […] sono stato io in tutto il Centro-Sudamerica che ho coordinato la creazione di numerose entità bancarie, soprattutto allo scopo di contrastare la penetrazione e l’espandersi di ideologie filomarxiste; e sono io infine che oggi vengo tradito e
abbandonato…”

 

Messo alle strette, Calvi minaccia addirittura di rivelare tutti i segreti che aveva accumulato “in saccoccia” – ossia nella borsa che porta sempre appresso, e che rappresenta la sua assicurazione contro possibili “incidenti”.
Attendendo l’appello, torna al vertice del Banco Ambrosiano, tentando per l’ennesima volta di trovare il denaro per un salvataggio. Per riuscire in un’operazione ormai disperata, prima entra in contatto con il finanziere Flavio Carboni, poi addirittura con la banda della Magliana, e il boss mafioso Pippo Calò. Finisce così per venire coinvolto in operazioni di riciclaggio, che causano la
definitiva perdita di ogni possibile appoggio dallo IOR.

Roberto Calvi trova la morte a Londra, dove era fuggito pochi giorni prima. Le autorità, in Italia come in Inghilterra, seguono inizialmente la pista del suicidio, ma le incongruenze sono troppe, tanto da portare in poco tempo all’annullamento della sentenza inglese.
I processi successivi portarono tutti alla stessa conclusione: Roberto Calvi è stato ucciso.
Nonostante questa certezza, tutti gli imputati vengono assolti per insufficienza di prove.

L’ultima inchiesta, del 2016, termina in un nulla di fatto, con l’archiviazione del procedimento. Anche se la magistratura ha ormai reso noti gli intrecci criminali che si annodavano intorno alla figura del banchiere, le responsabilità individuali restano incerte. Nella vicenda del Banco Ambrosiano, insomma, c’era così tanto sporco, che è quasi impossibile stabilire con esattezza per quale macchia, nello specifico, sia morto il suo presidente.

Nonostante la sua morte violenta e il lungo processo per arrivare alla verità non lasciano indifferenti dal punto di vista umano, i suoi legami con la malavita e il suo operato non cristallino ne fanno una figura ambigua e opaca. La grande finanza milanese non l’aveva mai accettato completamente, poiché lo considerava solamente un miscuglio di ambiguità e reticenza che pensava solamente al lavoro e non si divertiva mai. Illuminante, a tal proposito, è la citazione dell’Avv. Gianni Agnelli, allora Presidente di Confindustria, su Calvi: “Come si fa a vivere guardandosi la punta delle
scarpe?”

Forse Calvi guardava la punta delle scarpe per sfuggire alla voce della sua coscienza, che cercava di venire alla luce per avvertirlo.

A cura di Avv. Costantino Larocca – Foto Imagoeconomica

Contattare Costantino per richieste legali: [email protected] / 338.7578408

Redazione IL POPOLANO

La Cesenate

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