Siamo a metà degli anni 60, la Charterhouse è una prestigiosa scuola privata nei dintorni di Londra, una di quelle istituzioni tutte disciplina e “sani principi” dove i ragazzi imparano a cavarsela nel “modo inglese”. Il nucleo originario dei Genesis nasce qui, dove le agiate famiglie di Peter Gabriel, Anthony Banks, Anthony Phillips e Michael Rutherford li spediscono a svolgere i loro studi superiori. Gabriel e Banks cominciano a strimpellare al piano della scuola e comporre canzoni, e ben presto quei ragazzi iniziano a vedere nella musica il loro futuro. Dopo qualche tentativo con gruppetti distinti, si formano i Genesis.

La prima svolta arriva con Jonathan King, un cantante e produttore pop inglese piuttosto affermato nella seconda metà dei 60, a sua volta ex allievo della Charterhouse, il quale prende in simpatia i Genesis e li porta a firmare il loro primo contratto, veramente assurdo per dei ragazzini di 16 anni, di cinque anni con opzione per altri cinque (durata poi drasticamente ridotta per intervento dei genitori), e a incidere il loro primo album, From Genesis To Revelation, un concept basato sul Vecchio Testamento, su suggerimento dello stesso King. Decisamente il tutto è un passo troppo lungo per degli ancora ingenui studenti, che all’epoca sono Peter Gabriel (voce), Anthony Phillips (chitarra), John Silver e in due pezzi Cris Stewart (batteria), Anthony Banks (tastiere), e Michael Rutherford (basso e chitarra).

Il disco è a tratti classicheggiante a tratti pop per la pesante influenza di King, ha qualche lato interessante, conoscendo gli sviluppi futuri, ma è a dir poco acerbo. E’ fatto di molte canzoni brevissime e semplici, ma infarcite di arrangiamenti pomposi con archi e tromboni, tutt’altra cosa rispetto a quello che verrà. Il disco esce per la Decca nel marzo del 1969, e viene pressoché ignorato da tutti.

King perde interesse nei Genesis con l’aumentare della complessità delle loro composizioni e il gruppo si ritrova solo, ma non senza entusiasmo. Rifiutando aiuti economici significativi dalle famiglie, si arrabatta a sopravvivere. Il periodo per i ragazzi è economicamente tragico (qualcuno che è loro vicino all’epoca dirà: “Avevo l’impressione che saltassero i pasti”) e con l’ingresso del nuovo batterista John Mayhew le magre entrate dei primi concerti si rivelano una boccata di ossigeno.

E’ proprio in questa fase che attraverso piccoli aggiustamenti e un enorme lavoro, provando e riprovando, i Genesis mettono a punto quello che sarà uno dei loro punti di forza, ovvero la performance dal vivo, non tanto con atteggiamenti spavaldi da rockstar, quanto imparando a creare un’atmosfera capace di coinvolgere il pubblico gradualmente per farlo entrare nella loro musica, che è quello che realmente vogliono con più intensità.

I giovanissimi Genesis (all’epoca tutti intorno ai vent’anni) non si fidano praticamente di nessuno nell’ambiente finché non fanno il colpo grosso entrando nel cuore di Tony Stratton-Smith, padre-padrone della Charisma, una giovane ma già importante etichetta progressive, che nel giro di un paio di settimane li mette sotto contratto e, dunque, in condizione di registrare un nuovo album.

La Redazione giornalistica – Foto Getty

Redazione IL POPOLANO

La Cesenate

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