“Farà piacere un bel mazzo di rose ed anche il rumore che fa il cellophane…” così Paolo Conte cantava Ginettaccio, il campione dei ciclismo italiano tra gli anni trenta e cinquanta, quel “toscanaccio” di cui dopo la morte, il 5 maggio 2000, si scoprirono gesta mai raccontate perchè, come diceva, il bene si fa ma non si dice, e le pedalate di trecento chilometri al giorno, con documenti preziosi nascosti nei tubi della propria bicicletta, contribuirono a salvare la vita di numerosi ebrei, durante la Seconda Guerra Mondiale.

Nato a Ponte a Ema, il 18 luglio 1914, Bartali inizia a correre in bicicletta all’inizio degli anni trenta ed una volta divenuto Campione Toscano, decide di passare professionista, esordendo alla Milano-Sanremo del ’35, da indipendente (in quegli anni si poteva correre pur senza fare parte di una squadra); l’anno successivo passa alla Fréjus e nel ’36 veste la maglia della Legnano, capitanata dal grande Learco Guerra, che al Giro d’Italia gli fa però da gregario, permettendogli di indossare la maglia rosa finale, prima delle sue tre vittorie nella corsa rosa.

Bartali va forte su ogni percorso, ma è in salita che da il meglio di se; nel ’37 rivince il Giro e diventa capitano della Nazionale che correrà il Tour, corsa che però non termina a causa di una brutta caduta che gli procura diverse ferite.
Nel ’38, il Regime fascista lo spinge a disertare il Giro per il Tour, che vince, rifiutandosi però di salutare romanamente durante la premiazione; l’anno successivo vince finalmente la Milano-Sanremo, ma il Giro, nonostante quattro vittorie di tappa, lo vince Giovanni Valetti.

Nel ’40 è ancora primo sul traguardo di Sanremo e per il Giro chiama alla Legnano un giovane promettente a fargli da gregario: Fausto Coppi; Bartali però cade, perde terreno e imita Guerra, diventando gregario di Coppi, che vince la corsa rosa nonostante passi anche lui difficoltà non da poco e la classica “cotta” dei ciclisti, la corsa finisce proprio il giorno prima dell’entrata in guerra dell’Italia e per i due campioni la carriera si ferma per cinque lunghi anni.

Coppi finisce in Africa e viene fatto prigioniero dagli inglesi, mentre Bartali dopo il ’43 veste la divisa fascista, che gli serve però da copertura per le sue “imprese” a favore di ebrei e soldati alleati, cosa che come già detto verrà resa nota solo dopo la sua morte; nel 2005 il Presidente Ciampi gli conferirà la medaglia d’oro al valor civile, oltre a diventare GIUSTO dell’Olocausto nel Giardino dei Giusti del Mondo di Padova e, nel 2013, dichiarato “Giusto tra le Nazioni” dallo Yad Vashem, il memoriale ufficiale israeliano delle vittime dell’Olocausto.

“da quella curva spunterà quel naso triste da italiano allegro ….” terminata la guerra, Bartali, che ha trentuno anni, non gode più della considerazione di campione, è ormai ritenuto vecchio e l’astro nascente diviene Coppi, di cinque anni più giovane, anche se il tortonese deve fare i conti con le dure prove lasciategli dalla prigionia; nel ’46 Bartali vince il suo terzo ed ultimo Giro d’Italia, proprio davanti a Coppi, per soli quarantasette secondi, e si ripete al Giro di Svizzera, all’epoca ritenuto corsa di grande prestigio ed interesse; nel frattempo in Francia si sta preparando il ritorno del Tour, in grande stile.
Nel ’47 rivince la Milano-Sanremo, mentre il Giro è appannaggio di Coppi, ma Bartali si rifà in Svizzera; nel ’48 dopo un difficile inizio di stagione ed un Giro in cui finisce solo ottavo, Bartali è il capitano della squadra che si presenta al Tour, tra l’astio dei francesi ed una formazione raccogliticcia e definita “da quattro soldi”.

“tra i francesi che s’incazzano e i giornali che svolazzano…! nonostante tutto però, Bartali, a trentaquattro anni, da il meglio di se e vince a Briancon, dopo aver scalato Allos, Vars ed Izoard, recuperando i venti muti che lo separavano da Louison Bobet; il giorno dopo rivince e veste la maglia gialla sul traguardo di Aix-Les-Bains, dopo aver scalato altri cinque mitici colli alpini.

Proprio quella vittoria contribuì fortemente alle sorti dell’Italia, perché quel giorno era avvenuto l’attentato al segretario del PCI, Palmiro Togliatti, e il trionfo di Bartali suscitò in Italia grande entusiasmo, contribuendo così a calmare animi ormai prossimi allo scatenare una guerra civile; si disse all’epoca che il Premier italiano, Alcide De Gasperi, amico di Bartali, telefonò al corridore proprio alla vigilia della tappa di Briancon, per incitarlo e chiedergli la vittoria, che doveva servire in quel momento di grande tensione politica e sociale.

Alla fine Bartali arrivò a Parigi da trionfatore, applaudito anche dai francesi, vincitore del suo secondo Tour de France; negli anni successivi arrivarono per lo più piazzamenti di grande prestigio, fino alla sua ultima grande vittoria, a trentotto anni, la conquista della maglia tricolore e chiuse la carriera nel 1954, correndo un circuito organizzato appositamente per l’occasione, a Città di castello, dove era sfollato durante la guerra, per sfuggire, protetto dalla popolazione, alle milizie fasciste.

Divenuto Direttore Sportivo, Bartali ingaggiò Coppi nella propria squadra, la San Pellegrino, per tentare di rilanciare il Campionissimo, ormai in declino, e che sarà vittima della malaria dopo un viaggio per un safari in Africa, il 2 gennaio del 1960.

Il carattere schietto e poco incline ai compromessi, portò Bartali sempre più lontano dal grande ciclismo, non senza i suoi famosi strali nei confronti del doping, della corruzione e degli ingaggi troppo alti; Gino Bartali muore, a causa di un attacco di cuore a ottantacinque anni, il 5 maggio 2000, a Firenze.
“Quanta strada ne miei sandali, quanta ne avrà fatta Bartali…”.

Il Direttore Responsabile Maurizio Vigliani – Foto fonte Sykkelmagasinet.no

Redazione IL POPOLANO

La Cesenate

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