Difficile trovare un atleta, un pugile, che abbia avuto l’impatto mediatico e sociale di Cassius Marcellus Clay jr, poi divenuto Muhammad Alì, dopo la sua conversione all’Islam, a seguito del suo ingresso in una setta afroamericana, che difendeva i diritti di integrazione razziale.

Quella di Alì è stata senza dubbio una figura controversa e carismatica, sia dentro che fuori dal ring; il suo diventare campione del Mondo dei massimi a soli ventidue anni, nel 1964, dopo aver vinto l’oro a Roma 1960, ha cambiato il modo di fare la box, di intendere la nobile arte, sino a quel momento (specie in categoria), vista come il combattimento tra pugili potenti e forti ma guidati dai loro manager, spesso figure non proprio limpide, così come “costruite” ad arte erano molte carriere.
Clay invece non era nulla di tutto questo, sia sul ring, sia nelle conferenze stampa che nelle uscite pubbliche e nel suo modo di legittimare un mondo sino a quel momento sottostante le differenze razziali; come dimenticare le schermaglie e le provocazioni nei confronti dell’avversario di turno, chiunque esso fosse, come dimenticare quel suo modo spavaldo di tenere bassa la guardia, invitando chi gli stava di fronte a colpirlo, lui che velocissimo di gambe (e di testa) sgusciava per colpire di rimessa, potente e cattivo nello sfiancare l’avversario.

I primi anni di professionismo, non furono semplici per Clay, nonostante fosse imbattuto dopo diciannove incontri, quindici dei quali vinti prima del limite; non tutti i suoi avversari erano figure di secondo piano, come si usava al tempo per “costruire” una carriera e portarla ai vertici mondiali, ed alcuni gli dettero seri grattacapi, mettendone a dura prova le qualità atletiche.

Nel 1964 Clay divenne lo sfidante ufficiale al titolo mondiale, detenuto da Sonny Liston, un vero e proprio picchiatore, potente ed aggressivo, che aveva tolto il titolo a Floyd Patterson, battendolo nuovamente nella rivincita, entrambe le volte per Ko alla prima ripresa; Clay mesi in atto il suo solito modo di avvicinarsi all’incontro, con una vera e propria campagna denigratoria nei confronti del campione, ma in verità temeva moltissimo Liston.
L’incontro pareva segnato, ma le scommesse, iniziate con quote elevate per la vittoria dello sfidante (1/7), portarono presto ad una inversione di tendenza fino quasi a dare alla pari la vittoria di Clay; il 25 febbraio 1964 i pugili salirono sul ring di Miami, con Liston deciso a chiudere al più presto la sfida, mentre Clay si difendeva con la velocità di gambe conosciuta.

La realtà cambiò presto durante l’incontro e non fu una sorpresa l’abbandono del campione prima dell’inizio del settimo round; Clay iniziò il suo show in mezzo al ring, quella cui aveva ormai abituato i propri tifosi, quello che ne contraddistinse gran parte della propria carriera.
Il giorno dopo la conquista del mondiale, Clay cambiò il proprio nome, diventando Muhammad Alì ….

La rivincita, sancita dal contratto precedentemente sottoscritto, arrivò dopo oltre un anno e si tenne a Lewiston, una sede secondaria, anche a causa delle minacce contro Alì e contro i giornalisti che assistettero all’incontro; Liston pareva sconfitto prima ancora di salire sul ring ed il pugno che lo mise ko al minuto 1,44 della prima ripresa, sembrò qualcosa di atteso per chiudere l’incontro il prima possibile e con meno danni possibili.
Dopo quel giorno Alì difese il titolo in altre otto occasioni, sino al 1967, quando fu chiamato per andare a combattere in Vietnam, cosa che Alì rifiutò, venendo squalificato e condannato a cinque anni di prigione per renitenza alla leva.

Nel 1970 Alì ottiene da un giudice di tornare in possesso della licenza pugilistica e torna sul ring con l’intento di sfidare chi, secondo lui, detiene abusivamente la corona mondiale: Joe Frazier; l’8 marzo 1971, sul ring del Madison Square Garden di New York va in onda quello che verrà definito “l’incontro del secolo”, una sfida che fu seguita da milioni di persone in tutto il mondo (compreso lo scrivano, alzatosi in piena notte).
Lo spettacolo dello scontro Frazier-Alì fu effettivamente quello dello scontro di due titani, con il campione che avanzava inesorabile, sfidando i pugni di Alì, che tentò in tutti i modi di abbattere un avversario che pareva invulnerabile e che lo mise al tappeto nel corso della quindicesima ripresa, cosa che legittimò la vittoria di Frazier ai punti.

Alì però si riprese, ripartendo nuovamente all’assalto per riprendersi il titolo; nel 1973 però incappa in Ken Norton, un avversario sulla carta agevole ma che lo sconfigge, salvo poi cedere nella successiva rivincita; nel 1974 ecco nuovamente di fronte Alì e Frazier, che nel frattempo aveva perso la corona mondiale ai danni di George Foreman.
Questa volta Alì si prende la rivincita e diviene sfidante ufficiale di Foreman, che nel frattempo aveva difeso il titolo contro Norton; il 30 ottobre 1974 a Kinshasa, nello Zaire, il ring ribolle d’attesa per una sfida che promette scintille ….

Foreman parte fortissimo ma Alì incassa e si difende, apparentemente incapace di replicare, sino al quinto round, quando l’incontro cambia, sino all’ottava ripresa, durante la quale il campione va al tappeto e non riesce a rialzarsi, tra il visibilio dei tifosi di Alì e dei suoi secondi, stupiti loro per primi dall’atteggiamento del loro assistito, che aveva lasciato sfogare l’avversario per poi sovrastarlo mandandolo ko.
Ovvia a questo punto la terza sfida con Frazier e la nuova vittoria di Alì, che però inizia a risentire dei contraccolpi di una carriera pesante, oltre che degli anni di inattività; nel 1978 è Leon Spinks a togliergli la corona mondiale e nel 1980 arriva l’ultimo atto della carriera di Al’, che perde contro Larry Holmes, apparendo stranamente statico ed affaticato, lento nei movimenti ed anche nel parlare, tanto che il suo manager, Angelo Dundee, lo fece sottoporre ad esami che certificarono i primi sintomi del Morbo di Parkinson.
Abbandonato il ring, Alì si adoperò per in favore della ricerca contro la terribile malattia che lo aveva colpito, girando il mondo come ambasciatore e testimonial della ricerca; l’apparizione come ultimo tedoforo all’inaugurazione delle Olimpiadi di Atlanta 1996, commossero il mondo intero, così come altre apparizioni, tra le quali il portare la bandiera olimpica a Londra 2012, aiutato dalla moglie Lonnie viste le condizioni ormai avanzate della malattia.

Nato a Louisville il 17 gennaio 1942, Cassius Clay/Muhammad Alì, muore a Scottsdale il 3 giugno 2016, dopo una vita non certo comune, in cui ha cambiato il mondo del pugilato, ha messo in mostra carattere e carisma, dando vita e voce ad una figura controversa ma capace di un impatto mediatico unico nel suo genere, di convogliare su di se l’attenzione qualunque fosse l’oggetto delle sue esternazioni, un avversario da affrontare sul ring, così come l’ugualglianza tra le razze o l’affrontare una delle più terribile malattia dei giorni nostri.

Il Direttore responsabile Maurizio Vigliani – Foto

Redazione IL POPOLANO

La Cesenate

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