L’Italia è conosciuta per tanti motivi, alcuni nobili altri meno.
La giustizia italiana e, in particolare, la sua lentezza, appartengono alla seconda categoria.
Siamo penultimi, dopo Malta e Grecia: una delle giustizie più lente d’Europa.
E’ necessario dare qualche dato, in modo da comprendere più agevolmente il fenomeno nella sua quantità. Il processo italiano ha una media di 2.656 giorni (527 giorni per il primo grado, 863 giorni per il secondo grado e 1.266 giorni per il terzo grado), che equivale a sette anni e tre mesi circa. E c’è da dire che siamo migliorati rispetto al 2016, quando la durata media era stimabile nei celebri “otto anni” cui tutti, anche i non addetti ai lavori, fanno spesso riferimento.
Di casi giudiziari famosi, nei quali il malcapitato di turno viene stritolato dagli ingranaggi della giustizia, ve ne sono infiniti, come i processi che si celebrano. Ed a rimetterci sono tutti: i cittadini, i ricorrenti, gli indagati.

Entro nel dettaglio per far comprendere il trascorrere del tempo giudiziario e le sue conseguenze.
Una persona viene querelata a gennaio del 2021. Passano due anni di totale silenzio e questa persona solo nel 2023 comprende di essere stato querelato e quindi indagato dalla Procura territorialmente competente. Da questo momento – si dirà – inizierà il processo vero e proprio. Non proprio. Perché per il decreto di citazione a giudizio (che apre formalmente il dibattimento) bisogna aspettare altri due anni, per arrivare al 2025, cioè già quattro anni dopo i fatti. Il processo, comunque, inizia con la fissazione della prima udienza. Può capitare che l’Udienza venga rinviata perché “non viene trovato il fascicolo nella cancelleria del Giudicante” e di fatto il processo inizia nel 2026. Alla prima Udienza, può capitare che l’avvocato difensore aderisca allo sciopero proclamata dalla Camera Penale e la causa viene di nuovo rinviata di qualche mese. A tale rinvio,
manca direttamente il Giudice titolare e solo a fine anno del 2026 si può dar inizio al processo. Cioè esattamente cinque anni dopo la querela. Anche se il processo prosegue senza intoppi, la Sentenza di primo grado non può non arrivare prima di altri due anni. Cioè al 2028, sette anni dopo dalla presentazione della querela. E se si è fortunati, oltre che innocenti, va bene così: perché la Sentenza può essere impugnata in Appello poi in Cassazione e “tenere in ostaggio” un cittadino per una parte significativa della propria vita.

Come è facilmente intuibile, le conseguenze di tali processi infiniti sono disastrose. Oltre allo stress del processo, dilatato in tempi davvero incomprensibili, subito da una persona che, innocente o meno, vuole arrivare alla Sentenza in un tempo ragionevole e le spese per gli Avvocati che irrimediabilmente aumentano, si pensi a chi non può partecipare a concorsi pubblici o affrontare corsi di specializzazione solo perché nel certificato dei carichi pendenti vi è la conoscenza di un procedimento penale a suo carico. Oltre alla moralità ed alla reputazione di una persona, che può essere letteralmente distrutta dai cosiddetti “populisti” che, specie nei bar e nelle piazze, non mancano mai e vorrebbero mettere alla gogna chi ha semplicemente ricevuto un avviso di garanzia o è stato querelato, con conseguenze facilmente immaginabili, personali, familiari e lavorative.
“Mani Pulite” ne ha dato un tragico esempio.

Visto che noi italiani, in certe occasioni ,siamo un po’ masochisti, il Parlamento ha varato una Legge (la cd. “Bonafede”) che, entrata in vigore il 1° gennaio dello scorso anno, abolisce la prescrizione dopo una Sentenza, sia essa di assoluzione che di condanna. Il tentativo di cura si rivela peggiore del male: trasformerà i processi in persecuzioni potenzialmente infinite. Qualsiasi cittadino potrà restare in balia della giustizia italiana per 20, 30, persino 50 anni, o anche per tutta la vita, con effetti devastanti sul piano personale, familiare, economico e sociale. E questo varrà anche nei confronti delle vittime dei reati e delle parti civili.

Un fallimento pieno a 360 gradi della giustizia, in cui perdono tutti, ma anche un fallimento dal punto di vista della logica legislativa: nel 75 per cento dei casi la prescrizione dei reati matura prima di una Sentenza di primo grado, proprio a causa delle inefficienze del sistema giudiziario. V’è da chiedersi il perché di una tale Legge. Voglio escludere un’ignoranza di fondo sull’istituto della prescrizione e dei suoi effetti: rimane solo un’assoluta “buonafede” sulla mancanza di consapevolezza che produrrà, negli anni in avvenire, un processo potenzialmente eterno sulla vita delle persone.

Nuova Legge che entra in vigore dopo il famigerato, dal punto di vista giudiziario, anno 2019, che ha consegnato alla Giustizia italiana una serie incredibile di flop giudiziari e processi interminabili. Qualche esempio che fa rabbrividire: Calogero Mannino, per cinque volte Ministro della prima Repubblica (lunghezza del processo 28 anni); Antonio Bassolino, ex Sindaco di Napoli (lunghezza del processo19 anni); Clemente Mastella, ex Ministro di Grazia e Giustizia, assolto 15 volte in 15 processi.

Anche le parti civili ci rimetteranno pesantemente; con l’entrata in vigore di tale Legge, vedranno ancor più procrastinato l’accertamento dei fatti dinnanzi ad un Giudice e la loro sete di giustizia non sarà mai soddisfatta.
Già, perché occorre ricordarlo: non ogni imputato risulta condannato. E per diventare imputati, non bisogna necessariamente essere dei criminali, perché può capitare a tutti. Ed in tal senso, la prescrizione è una norma a favore di tutti i cittadini, non solo dei criminali.

Paradossalmente, la prescrizione è l’unica arma che un Giudice ha per celebrare un processo in tempi ragionevoli. E la riforma “Bonafede” non fa altro che incentivare l’uso ancora maggiore di rinvii delle udienze in tempi lunghissimi.

Uno scenario davvero inquietante, che impone una seria riflessione sulla Giustizia e sul rapporto fra politica e sistema giudiziario.

A cura di Avv. Costantinino Larocca – Foto Imagoeconomica

Contattato Costantino per domande: [email protected] / 338.7578408

Redazione IL POPOLANO

La Cesenate

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