In dubio pro reo. Un principio di eterna giustizia scolpito nell’aurea massima di questo antico brocardo latino. I Magistrati devono tenerlo presente, quando parlano attraverso le loro Sentenze: in maniera più spartana e specularmente identica, la gente comune, non avezza al “latinorum”, direbbe: “Meglio un colpevole fuori che un innocente dietro le sbarre”. Eppure tale Principio, a volte per ragioni oscure e indecifrabili, altre volte per ragioni tutt’altro che nobili, viene meno nella mente di chi deve giudicare la vita di una persona e che ha in mano il destino di esseri umani.

Ciò che è successo ad Avetrana, piccolo paesino di qualche migliaio di anime sperduto nel tarantino, è uno degli esempi più fulgidi e rappresentativi di come la realtà concreta, quella degli uomini, tanto per intenderci, possa deviare da questa massima di civiltà e possa allontanarsi da tutto quello che sa di giusto e di vero.
Non mi accingo a ripercorrere le tristi vicende che hanno portato alla morte una ragazzina nel fiore degli anni, barbaramente uccisa senza un movente chiaro, né le tristi ed angosciose narrazioni quotidiane che i giornalisti e la stampa, locale e nazionale, hanno tenuto incollati sul teleschermo milioni di italiani.

Tenterò di occuparmi di quelle che sono state le vicende del processo e di come, talvolta, le maglie della giustizia vanno in corto circuito ed offrono un saggio preciso su vicende tanto assurde da apparire grottesche, nelle quali si racconta come uomini o donne, normali cittadini, abbiano visto le loro vite andare in rovina.
In carcere per il suo omicidio ci sono andate la zia Cosima Serrano e la cugina Sabrina Misseri.
Sono state condannate all’ergastolo in via definitiva. Ma sull’intera vicenda ci sono ancora oggi dubbi e misteri.
Visto che siamo in Italia, non poteva mancare, in questo processo, un non so che di sarcastico che, per paradosso, getta una luce ancora più sinistra sulla giustizia italiana e sui metodi di indagine seguiti. Tenere presente l’affermazione del Procuratore generale, Antonella Montanaro, rende sin dall’inizio palpabile quali siano stati gli elementi, le prove, su cui il processo si è basato: “il processo è stato tutto indiziario”.

Premesso ciò, cerco di enucleare il concetto di indizio ed i principi che devono necessariamente sottostare ad esso: in primo luogo, che il procedimento indiziario deve muovere da premesse certe, nel senso che devono corrispondere a circostanze fattuali non dubbie e, quindi, non consistere in mere ipotesi o congetture ovvero in giudizi di verosimiglianza. Gli indizi, peraltro, devono essere gravi, precisi e concordanti posto che l’art. 192, comma 2, cod. proc. pen. subordina alla presenza di questi tre concorrenti requisiti l’equiparazione della prova critica (o indiretta) alla prova rappresentativa (o storica o diretta) e, conseguentemente, in mancanza anche di uno solo dei suddetti requisiti, gli indizi non possono assurgere al rango di vera e propria prova idonea a fondare la dichiarazione di responsabilità penale.
Si badi bene: il Procuratore generale ha fatto tale affermazione durante la sua requisitoria finale, che avrebbe dovuto, invece, parlare di solidi elementi probatori atti a provare la colpevolezza delle persone che sono poi finite in galera.

Torniamo all’inizio. Quando, cioè, dopo settimane di infruttuose indagini, entra in scena (termine quantomai appropriato) lo zio dell’assassinata, che sostiene di aver trovato il telefonino della nipote in un campo bruciato non lontano da casa.
Torchiato dagli inquirenti, il 6 ottobre, a sera tarda, Michele Misseri confessa di aver ucciso Sarah nel proprio garage dopo un tentativo di stupro e fa ritrovare il corpo in fondo a un pozzo. La famiglia lo viene a sapere mentre è ospite a una puntata in tv di “Chi l’ha visto?”.
Ma l’autopsia non rileva violenza carnale sul corpo e lo zio inizia a cambiare, più volte, versione. Il 21 ottobre gli inquirenti arrestano la figlia di Misseri, Sabrina. Dopo aver raccolto alcune testimonianze e aver controllato i tabulati dei telefoni cellulari l’idea degli investigatori è questa: Sabrina avrebbe strangolato Sarah perché gelosa delle attenzioni che la cugina ha mostrato verso Ivano. Insomma le due cugine si sarebbero invaghite dello stesso ragazzo.
Nel frattempo Misseri accusa la figlia dell’omicidio affermando di aver solo nascosto il cadavere.
Dopo alcuni mesi viene poi arrestata anche la madre di Sabrina e moglie di Michele, Cosima Serrano, per concorso in omicidio.

La prova principale, se così la vogliamo chiamare, è la testimonianza di un fioraio, Giovanni Buccolieri, che ha il negozio non lontano dalla casa di Misseri. L’uomo racconta di aver visto Sabrina e Cosima inseguire Sarah e caricarla di forza in auto il giorno in cui la vittima è scomparsa.
Il fioraio in seguito dirà di non ricordare se questo episodio se lo è sognato o l’ha visto davvero. Ad ogni modo lo riferisce alla propria commessa che a sua volta lo dice alla madre, Anna Pisanò. La donna, una testimone chiave dei pm di primo grado, parla del racconto con un carabiniere. Abbiamo capito bene? Purtroppo sì. Il testimone chiave potrebbe essersi sognato l’episodio dell’auto ed i Giudici potrebbero, nella motivazione della Sentenza, aver dato credito a quello che è stato solo il parto di una fantasia onirica.

Non ho mai visto nulla di simile, nella mia professione di Avvocato, però ricordo un fatto che fu, allora come oggi, sulla bocca di tutti gli italiani, anche se per motivi molto meno tragici. Durante una puntata di lontano 1991, durante il gioco cult, una telespettatrice rispose ancora prima di sentire la domanda. Nello specifico, la Bonaccorti chiese alla donna collegata telefonicamente, quale casella del “cruciverbone” volesse scegliere e la telespettatrice, senza battere ciglio, scelse senza un attimo di indecisione una casella molto lunga e con nessuna lettera presente. Prima ancora che la conduttrice potesse fare la domanda, la telespettatrice pronunciò la parola “Eternit”, che effettivamente era la parola che riempiva l’intera casella e che doveva essere indovinata. La Bonaccorti sbottò in diretta e la telespettatrice fu processata per truffa. Venne assolta perché, secondo i Giudici, quando pronunciò la parola giusta ebbe una sorta di premonizione.

La similitudine risuona come un grosso petardo esploso nelle aule di giustizia che hanno ospitato il processo di Avetrana.
Il fioraio è stato chiamato e gli è stato chiesto conto del sogno. “Il sogno devo raccontare?” “Si”. Ma nel verbale quel sogno – chissà perché – sembra diventare realtà e quando lui chiede che sia specificato che di sogno si trattava si becca un’ imputazione per false dichiarazioni al P.M. E nonostante al fioraio bastasse cambiare versione e dire che il sogno era realtà per uscire indenne, non lo ha mai fatto. “Non voglio andare all’ inferno per aver fatto condannare due innocenti”, ha sempre ripetuto. La cosa bizzarra è che si è potuto sottrarre al processo. Quindi in un processo dove il sogno è protagonista il sognatore non c’è.
Vi sono poi le dichiarazioni dei due assolti, Prudenzano e Colazzo, rispettivamente suocera e cognato del fioraio. Loro nei guai ci sono finiti perché quando è stato loro chiesto se sapevano del sogno hanno riposto: “noi abbiamo sempre saputo che era un sogno”.

Condannati in primo grado per favoreggiamento. In seguito assolti. Dunque il sogno era tale? E allora dovrebbe, per logica, cadere anche la colpevolezza di Sabrina e Cosima, le due donne in prigione, almeno nella parte del rapimento della ragazzina. E anche se i giudici pensano che i due possono essere stati ingannati dal fioraio, come mai allora
non si è sentita la necessità di ascoltare il sognatore, visto che in ballo ci sono due ergastoli?
Nei tabulati telefonici c’è la prova dell’innocenza di Sabrina ma per i giudici lo scambio di sms tra Sabrina e Sarah nei momenti appena precedenti al delitto sono un depistaggio. Quindi Sabrina, che aveva appena ucciso la cuginetta, avrebbe provato a farsi un alibi scrivendosi sms dal cellulare di
Sarah. Comportamento di un delinquente incallito, non di una ragazza che fino a quel giorno non aveva fatto del male a nessuno.
Il medico legale che visitò Michele Misseri in carcere parlò di unghiature sulle braccia di Misseri come se avesse avuto avuto una colluttazione con Sarah. Poi quando l’uomo ritratta e accusa la figlia, quelle unghiature diventano sfregi provocati dal lavoro nei campi.
E poi c’è lui, Michele Misseri, che ha continuato a ripetere di essere lui è solo lui il colpevole. “Non avrei mai difeso Sabrina se fosse stata lei. Le sarei rimasto vicino ma non mi sarei mai preso la colpa“.

Quando Michele Misseri trova il cellulare di Sarah chiama le figlie, che erano a casa, ad Avetrana. E dalla descrizione del telefonino è Sabrina a riconoscerlo, a dire che è di Sarah e a chiamare subito i carabinieri in modo che potessero prenderlo in custodia e analizzarlo. Perché avrebbe dovuto farlo sapendo che sarebbe stato usato contro di lei?
Come si fa a non avere dubbi visto che oltre a confessare Michele ammette la soppressione del cadavere, l’incenerimento degli oggetti della vittima, rivelando i luoghi in cui tutto questo è accaduto?

Nel 2018 l’Avvocato Franco Coppi, sicuro dell’innocenza delle due donne, ha fatto ricorso alla Corte europea, che ha giudicato il ricorso ammissibile.
“Abbiamo enunciato violazioni di alcune regole fondamentali del giusto processo. Violate, ad esempio, nell’esame di alcuni testimoni, senza procedere ad analisi esaurienti, senza garanzia di autenticità».

In un paese, Avetrana, dove tutti si conoscono e dove ognuno dà la propria versione dei fatti su quello che è successo, pretendendo di essere l’unico depositario della verità.
Davvero troppe, le bugie ed i bugiardi, in questo processo. A perderci ci sono, con ogni probabilità, due donne in carcere da troppi anni. Oltre alla Giustizia. E a tutti noi.

A cura di Avv. Costantino Larocca editorialista – Foto Ansa

Contattare Costantino per richieste legali: [email protected] / 338.7578408

Redazione IL POPOLANO

La Cesenate

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