Giancarlo De Sisti "Picchio". 478 presenze in serie A, 50 gol segnati con due sole maglie. Viola e giallorossa.

All’età di dieci anni vivevo a Forlì dove mi ero ritagliato uno spazio personale all’interno del Parco della Resistenza, uno dei miei luoghi dell’anima dove riuscivo a soffocare le miei tensioni di bambino vivace, coccolato dai tanti animali che lo popolavano.

Un pomeriggio di primavera, mentre distribuivo la dose giornaliera di popcorn alle anatre del laghetto, in lontananza vidi un pallone da calcio di cuoio, di quelli anonimi creati prima che Adidas acquistasse l’esclusiva per la fornitura del pallone ufficiale del Mondiale di calcio, privandolo dello spirito libero. Era un vecchio Telstar.

Con il suo tipico aspetto a esagoni e pentagoni bianchi e neri (20 e 12), lacerato per i tanti calci subiti e per la mancanza di quelle poche cure che richiedeva. Lo presi tra le mani e mi accorsi che aveva la camera d’aria forata quindi chiedi a mia madre di scucirmi il pentagono in cui era fissata la valvola e lo portai dal meccanico a farmi mettere la toppa con il mastice.

Dopo averlo ricucito ben bene e ingrassato per ammorbidirlo e proteggerlo, lo riposi nell’armadio in attesa di poterlo sfoggiare nei campetti dove mi esibivo con gli amici di merenda. Al termine dell’anno scolastico, la mattina mi fiondavo al campetto con il mio pallone desideroso di giocare con altri bambini, ma nessuno voleva giocarci perché era troppo modesto.

Naturalmente, mi rifiutai di giocare e rimasi a guardare la partita con in mano il mio vecchio Telstar.

Ero molto deluso per il comportamento snobistico dei miei coetanei, a tal punto che, creai una delle mie storie fantastiche per salvare l’onore di quell’oggetto che veniva deriso ingiustamente per il suo aspetto definito cinicamente “grattato”. E fu così che il giorno seguente, mi presentai sul campo di gioco senza pallone ma con una storia incredibile da raccontare.

Un amico di mio padre, lontano parente del marchese fiorentino Luigi Ridolfi Vay da Verrazzano, dirigente dell’area logistica a Coverciano, vedendo a casa mia quel pallone lo assicurò che era uno dei dodici palloni utilizzati nella mitica Partita del Secolo, allo stadio Azteca di Città del Messico il 17 giugno 1970.

Dissi che lo aveva portato in Italia un giocatore che io amavo particolarmente, Giancarlo “Picchio” De Sisti, regista intelligente, che distribuiva palle con passaggi millimetrici dettando i tempi di gioco con grande acume tattico, il quale, quando compii dieci anni, me lo fece avere, tramite l’amico di mio padre, come regalo di compleanno. Da quell’istante, tutti i bambini che ascoltarono la mia storia non vedevano l’ora di poter giocare con un pallone che, con molta probabilità, era stato calciato da Rivera, Riva e Mazzola e parato da Albertosi e Zoff.

Per un paio d’anni, “Picchio”, era il nome che avevo assegnato al vecchio Telstar, divenne la star di quei campi di terra e pietre dove il calcio era soprattutto divertimento, sudore e voglia di stare insieme, fino alla fine dei suoi giorni, quando un ragazzo manesco che odiava profondamente il gioco del calcio, la notte della tradizionale Focarina di San Giuseppe, si impossessò di “Picchio”, strappandomelo dalle mani e gettandolo tra le fiamme.

Vedere gli amici in lacrime per la perdita del pallone “dei Campioni”, mi riempì di gioia mista a lacrime che mi convinsero dell’inevitabile innocenza nel dire una bugia blu, quelle che raccontano i bambini con il solo scopo di accrescere l’identità di un gruppo e la sua coesione.

A cura di Marco Benazzi – Foto Fonte il Romanista

Redazione IL POPOLANO

La Cesenate

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