Manca ancora qualche giorno alla Festa del Papà, lo so, ma l’anticipare vuole dire, per me, rendere omaggio al mio genitore, che oggi compirebbe 95 anni, essendo nato il 12 marzo del 1926, guarda caso lo stesso giorno, cinque anni dopo, l’avvocato Agnelli.

Di sicuro però, Vigliani Franco, così si chiamava mio padre, del celebre avvocato, non ha ripercorso alcuna tappa, essendo nato in un paesino della provincia vercellese, secondo di tre fratelli, la prima dei quali di qualche anno più vecchia ed il terzo del 1930.

A cinque anni muore il papà, l’anno dopo se ne va anche la mamma, lasciando i bambini alla bontà degli zii, che abitano in una cascina, vicino ad un altro paesino poco distante; tre persone in più, in quegli anni di povertà, è dura e mio babbo finisce all’orfanotrofio di Vercelli, da cui uscirà all’età di sedici anni, dopo le scuole ed aver imparato un mestiere, dato che in collegio, i ragazzi con qualche anno in più, lavoravano per aziende cittadine, senza percepire uno stipendio, ma con i contribuiti versati regolarmente, cosa che sarà preziosa molti anni dopo.

Sedici anni, in piena guerra mondiale, niente lavoro ed il non voler pesare sulle spalle di nessuno, così non resta che arruolarsi, volontario in Marina, con un corso da radiotelegrafista a Ceparana, vicino a La Spezia, dove c’è il porto militare e sulle colline limitrofe tanti posti di vigilanza.

Sono tempi duri, nottate illuminate dai bombardamenti alleati sul porto, giornate a ricevere ed inviare dispacci, ad attendere gli sviluppi di una guerra sempre più distruttiva; quando arriva l’8 settembre c’è il fuggi fuggi generale, il ritorno a casa, per lo più a piedi, e lì un lavoro ed un letto, dato che il fornaio del paese ha bisogno di aiuto.

I tempi non sono migliori, ma un piatto di minestra c’è e lì nasce anche quello che sarà l’amore di una vita, dato che mia mamma è originaria del paese; tra un’infornata ed un bacio furtivo, continua intanto una passione nata in collegio, quella per il calcio e, dato che se la cava piuttosto bene, trova posto nella formazione locale che gioca in Prima Categoria.

Finita la guerra e dopo qualche ulteriore traversia (un giorno rischia di essere ammazzato dai tedeschi o di finire in un campo di concentramento, ma lo salva una sorta di salvacondotto rilasciatogli sotto le armi), viene richiamato sotto le armi e viene mandato a Taranto, dove rientrano dalla prigionia (soprattutto in Africa) i militari italiani e c’è quindi la necessità di registrarli per poi lasciarli tornare a casa.

A Taranto, mio papà ha modo di continuare a giocare al pallone, nella formazione dell’Arsenale, che disputa la Serie B nella stagione 1946/47, sino a quando arriva l’ordine di trasferimento al Ministero Marina di Roma; tornare a casa in licenza è un’impresa, giorni di treno su tratte spesso bombardate ed ancora da sistemare, così che una settimana significa praticamente arrivare e ripartire quasi immediatamente.

Finita la ferma militare ecco Torino, dove abita la sorella che nel frattempo si è sposata, il lavoro presso una piccola azienda familiare e, nel 1950, il matrimonio; io nasco nel 1956 e mio fratello nel 1960, poveri, ma felici di essere venuti alla luce, come tantissime famiglie di quel tempo, senza grandi pretese, senza soldi, ma alle quali bastava poco per la serenità.

Mio fratello però ha dei problemi di salute, che emergono nel 1962, quando rischia di morire e si scopre essere emofilico, una malattia del sangue, ereditaria per trasmissione materna, che colpisce solo i maschi ed è terribile.

Quanti anni in cui il tempo trascorso in ospedale si misura in mesi e lo ricordo lo scorrere di quei giorni …. mio papà che va presto al lavoro, in quella che dovrebbe essere la pausa pranzo un giro veloce a prendere la sorella o un’altra zia, gemella di mia nonna, per portarla in ospedale, a dare il cambio a mia mamma, che torna a casa per poche ore, dormire un po’, preparare il pasto e prima di sera nuovamente in ospedale, accanto a Massimo, per passare la notte sopra ad uno sdraio ….

Non santifico nessuno, né mia mamma, oppressa dall’essere la portatrice senza colpa di quella malattia tremenda, né mio papà, marito e padre che mai ho sentito lamentarsi e sì che ne avrebbe avuto ben donde visto tutto quello che, non certo di bello, la vita gli aveva riservato.

Comunque la vita va avanti, noi cresciamo, andiamo a scuola e poi troviamo un lavoro, ci facciamo una famiglia, abbiamo l’ancora dell’aiuto di due genitori, che si fanno in quattro, sino al 2000, pochi giorni prima del cinquantesimo anno di matrimonio, quando arriva una nuova “mazzata”, un tumore al sistema linfatico per cui occorreranno cure dolorose, con la speranza nel cuore di uscirne, con la famiglia ancora una volta straziata dal dolore.

In realtà sono due anni di vita in cui si alternano speranza e disperazione, day hospital e ricoveri, cure dolorose e, purtroppo, alcuni medici (non certamente quelli Senza Frontiera) con poca umanità.

Gli ultimi giorni sono quelli della resa, giorni in cui non vedo mio papà, sono raffreddato, influenzato da un virus che non conosco e voglio evitare di peggiorare una situazione già tragica, senza praticamente anticorpi, non voglio causare ulteriori problemi; così non sono accanto a Lui nelle prime ore del 15 febbraio 2002, il giorno del mio compleanno, quando la vita lo abbandona.

Nella notte mi chiama mio fratello e corro subito a casa dei miei, non ho il coraggio di andare a vedere il mio papà, i defunti mi hanno sempre dato un senso di angoscia, forse perchè non accetto la morte, ho sempre evitato di vederne uno, anche se poi quando saranno mio fratello e mia mamma ad andarsene per sempre, sarò al loro fianco.

Gianni Agnelli e Franco Vigliani, nati nello stesso giorno, in anni diversi, così come profondamente diversa è stata la loro vita, unita solo dall’unica cosa in cui siamo tutti uguali, il lasciarsi andare lentamente nelle mani di Dio.

Non sono figlio di Agnelli, ma di una semplice persona, orgoglioso però di avere avuto cotanto padre, dei suoi insegnamenti, del suo aiuto, del suo vivere tra tante difficoltà gioendo comunque per quello che la vita gli aveva regalato, per quei brevi istanti felici trascorsi in compagnia dei familiari, dei parenti, degli amici.

Ciao caro papà Franco, buon compleanno, ti voglio bene e tu lo sai dal primo momento!

Il Direttore responsabile Maurizio – Foto Redazione

Redazione IL POPOLANO

La Cesenate

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