OSPEDALE CASA SOLLIEVO SOFFERENZA

In questi giorni mi è capitato di rileggere Gramsci.

Un incontro fortuito.

Come un detenuto nell’ora d’aria permessa, ho scovato in un angolo di vecchi libri, riposti nella vetusta e inquietante cantina di casa, un volume delle opere di Lenin nonche’ appunto, testi Gramsciani, che so, risalenti con tutta probabilità agli anni ’80, quando, evidentemente, giovane matricola di Filosofia all’Universita’ di Bologna, scorazzavo nei bar o sotto i portici, e mi attardavo, anziche’ andare a lezione, con qualche amico che, complice la simpatia, mi indottrinava sui testi di estrazione political- comunista.
Bei tempi!
Mi sono concentrata in particolare su un testo del 1987 edito da l’Unita’ intitolato “Gramsci. Le sue idee sul nostro tempo”.
La necessità di una simile pubblicazione viene chiarita nella premessa dell’allora direttore del quotidiano, Gerardo Chiaromonte, ossia un primo approccio al pensiero e alla vita di Gramsci a cinquant’anni dalla sua morte.

Con evidente orgoglio, Chiaromonte la definisce come “la più importante iniziativa politica – culturale – editoriale che un quotidiano italiano abbia mai tentato”, volendo così contribuire “a un allargamento massiccio, straordinario, della conoscenza delle idee di Gramsci fra gli italiani, e in particolare tra le giovani generazioni”, scommettendo sulla loro passione politica, e culturale.

Dopo un primo momento di commozione per quella spinta idealistica e nostalgica, per lo smarrito ruolo di faro della cultura nazionale, mi sono addentrata tra le pagine del testo e, fra tutte, a incuriosirmi, è stata la parola “cadornismo”, neologismo riferito al generale Luigi Cadorna, capo di stato maggiore della prima guerra mondiale, fino al disastro di Caporetto.
Cadorna e Caporetto che diventano ben presto metafore di un pensiero politico: Cadorna visto da Gramsci come un burocrate della strategia, che sacrifica la realtà allo schema, che costruisce un piano strategico che dimentica la realtà, rifiutandosi di prenderla in considerazione.
In questa strategia agli umani individui, al popolo, insomma, non spetta altra sorte che quella di essere “sacrificati”.
Ci sono momenti storici in cui la politica diventa legge, se non si ubbidisce, la colpa viene riversata su chi avrebbe dovuto.
Ebbene, così dicendo, diventa difficile estirpare l’abitudine di trascurare di evitare i sacrifici inutili.

Eppure, il senso comune mostra, che la maggior parte dei disastri collettivi avvengono, perchè non si è cercato di evitare il sacrificio inutile, o si è mostrato di non tenere conto del sacrificio altrui, o si è giocato sulla pelle altrui.
E’ come se un pensiero scomposto e sconclusionato si fosse impossessato di me, che vivo in questa altalena di lockdown, semi lockdown, bar, negozi, strade vuote, e d’improvviso affollate, poi nuovamente vuote, poi nuovamente assembrate, poi, poi, poi…in un incessante incalzare di DPCM, il tutto, occorre precisarlo, senza alcun controllo da parte di una qualsivoglia cabina di regia, ma nel dominio di soggettivismi, e particolarismi acuiti dalla sovraesposizione mediatica che ha colto di sorpresa i nostri politici locali destabilizzandone, a tratti, l’equilibrio.

E allora mi rileggo Gramsci e mi rassereno, perchè lui, esplicitando la definizione di cadornismo, si rivela, sul punto, lucido, analitico, profetico.
“Ogni villan che parteggiando viene immagina se’ stesso dittatore” commenta nei suoi ”Quaderni del carcere” e il mestiere di dittatore sembra facile: dare degli ordini imperiosi, firmare carte, ecc.., poichè si immagina che, per grazia di Dio tutti obbediranno e gli ordini verbali e scritti diverranno azione: il verbo si farà carne.

Di questi tempi ho la sensazione che siamo tutti vittime.
Chissà Gramsci come tradurrebbe Fake news, anche se, mi si conceda, c’è chi è un po’ meno vittima, e un po’ più aguzzino.
Curve che salgono, plateau, declivi scoscesi, chi viola i divieti per strafottenza, chi per disperazione.
C’è un punto, bellissimo, e chiudo, in cui Gramsci usa una metafora sportiva e afferma che “nell’Italia pallonara si è formata una mentalità sportiva che ha fatto della libertà un pallone con cui giocare a football”.

A cura di Sandra Vezzani editorialista – Foto Imagoeconomica

Redazione IL POPOLANO

La Cesenate

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