Director of the National Institute of Allergy and Infectious Diseases Dr. Anthony S. Fauci

Non lo si dimentica, ma a tre giorni dal lancio della prima bomba atomica su Hiroshima, il 6 agosto 1945, gli Stati Uniti colpirono nuovamente il Giappone, sganciando “Fat Man” su Nagasaki, porto militare e sede di industrie che davano all’apparato bellico nipponico, navi ed acciaio; una città “di legno” situata nella parte meridionale del Giappone.

Città di legno, perché la maggior parte delle case erano appunto costruite in legno, spesso intorno alle fabbriche, per dare alloggio agli operai ed alle loro famiglie.
Si può immaginare, dunque, quale fu l’effetto dell’ordigno atomico sulla città e gli oltre ottantamila morti il nuovo tributo da “sacrificare” per porre immediata fine ad una guerra che vedeva ormai la popolazione giapponese allo stremo delle forze.

Hiroshima è da sempre considerata il simbolo dell’inizio dell’era atomica, perché prima vittima sacrificale per la fine del conflitto mondiale, mentre Nagasaki è sempre considerata di “secondo piano”, quasi come se il suo sacrificio servisse unicamente per “rafforzare” il monito americano ai vertici politici e militari del Paese, dove i falchi chiedevano la prosecuzione di una guerra ormai oltre i limiti dell’assurdo, soprattutto per la popolazione.

Nagasaki e quel 9 agosto 1945, un giorno non solo da ricordare insieme alle decine di migliaia di morti, ma da usare come monito per le generazioni future, ammesso ci sia chi vuole farne tesoro nella storia dell’umanità.

Il Direttore responsabile Maurizio Vigliani – Foto

Redazione IL POPOLANO

La Cesenate

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