La contrada dei falegnami

C’era una volta, in una piccola cittadina del nord Italia, una contrada dove da anni regnava l’indifferenza generale nei rapporti di buon vicinato. All’uscita di casa per recarsi al lavoro, a scuola o fare spesa, ci si limitava ad un cenno con la testa proprio quando era impossibile evitarlo, ma in silenzio, nessuno conosceva la voce degli abitanti di questa contrada, e i loro sorrisi erano da anni dormienti in un lungo letargo dovuto ad una inattività emotiva che abbracciava tutti gli ambiti, da quello relazionale a quello sociale e lavorativo.

L’aridità sentimentale che si viveva quando si attraversava quella contrada, era palpabile e gelida come il cuore dei suoi abitanti.
Un giorno di piena Primavera, al civico 31/b, si traferì un’anziana vedova in compagnia del suo amato botolo. Nessuno la conosceva, ma già nelle delicate fasi del trasloco, Arletta, questo era il suo nome, coinvolse alcuni vicini donandogli sorrisi e ospitalità, assieme al giusto compenso. Dall’arrivo di quella misteriosa signora, la contrada cominciò ad aprirsi a macchia d’olio, e ogni abitante sentì il bisogno di conoscere la voce e le atmosfere che si respiravano nelle case confinanti, cominciando un lavoro su sé stessi che li portò a trovare quell’equilibrio che tutti dovremmo avere per vivere serenamente con l’altrui persona.

E fu così che nacque un comitato con l’intento di valorizzare la contrada dei falegnami da tempo dimenticata, organizzando, a cadenza trimestrale, eventi culturali e gastronomici, coinvolgendo nell’organizzazione logistica tutti gli abitanti, siano essi dirigenti d’azienda o profughi. La signora Arletta, non potendo fisicamente essere utile a causa dei suoi mille acciacchi, contribuiva con le sue famose torte povere ma estremamente buone, realizzate con pochi ingredienti comuni e con uno speciale, il suo enorme cuore. In pochi anni, dieci per la precisione, quella contrada, un tempo simbolo dell’aridità emotiva, era divenuta un modello per tutta la cittadina e la giunta comunale pensò bene di esportare quel modello nelle altre contrade, non considerando che quel miracolo era dovuto esclusivamente al raggio di sole interiore portato dall’arrivo della signora Arletta.

In un gelido mattino di dicembre, la misteriosa signora decise che la sua missione era terminata e, addormentandosi come un bimbo cullato, raggiunse la casa del Padre, lasciando i suoi amati vicini nello sgomento e nell’incredulità. Ma il miracolo era già avvenuto e nulla poteva tornare come quando le nuvole offuscavano costantemente il Sole. Il comitato della contrada dei falegnami, istituì un premio annuale intitolato ad “Arletta Montale”, indirizzato a chi utilizzando: sensibilità, intuizione, attenzione, intelligenza, comprensione ed empatia, ascoltava attivamente chi, nelle relazioni quotidiane, ne aveva un estremo bisogno.

Lo spirito di Arletta rimase per sempre a popolare lo sciame di pensieri dei suoi vicini, e non ci fu giorno in cui, la sua voce, il suo sorriso o il suo volto, anche solo per un attimo, non abbia fatto visita alla loro memoria. La sera della vigilia di Natale dell’anno in cui Arletta morì, un campanellino suonò la mezzanotte annunciando la nascita di un nuovo angelo. E sulla neve che cadde copiosa per tutta la notte, al mattino dopo gli abitanti della contrada dei falegnami trovarono un messaggio di auguri: “Cari ragazzi, ricordatevi che nessun individuo può dirsi un fallito se ha degli amici. P.S. Grazie delle ali! Buon Natale, Arletta.”

A cura di Marco Benazzi – Foto Imagoeconomica

Redazione IL POPOLANO

La Cesenate

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