La maglietta gialla, il pallone ovale da rugby, una squadra che diventa simbolo di una Nazione lottando contro l’oppressione del regime!
Argentina 1978, la maglietta gialla è quella indossata dal La Plata Rugby Club, i componenti la rosa coloro che il regime dittatoriale del Generale Videla farà ammazzare barbaramente, in quegli anni bui della storia argentina, gli anni dei DESAPARECIDOS (almeno trentamila, secondo le ricostruzioni …. per difetto), gli anni dei bambini “rubati” e delle migliaia di morti ammazzati, gli anni delle madri di Plaza de Mayo, gli anni in cui la gioventù argentina fu in buona parte fatta “sparire”, magari caricandola su aerei militari che volavano colmi di umanità verso l’Oceano e ne tornavano vuoti, dopo che il “carico” veniva gettato a mare, cibo buono per i pescecani!

La storia raccontata dall’unico superstite di quella squadra, il capitano, Raul Barandiaran Tombolini, ripresa dal giornalista argentino Gustavo Veiga e trasportata nel libro “MAR DEL PLATA” da Claudio Fava, giornalista, scrittore, sceneggiatore, parlamentare, figlio di Pippo, ucciso dalla mafia nel 1984; la storia ha ispirato anche l’opera teatrale “Quel minuto di silenzio”, di Simonetta Valenti, di cui già il nostro giornale ha pubblicato il racconto “La Banda” (11 dicembre 2021).

E proprio quel minuto di silenzio, dopo l’uccisione del primo dei ragazzi del La Plata, sarà l’inizio della carneficina; perché quel minuto non finisce al sessantesimo secondo, al fischio arbitrale per la ripresa del gioco, dato che nessuno si muove, nessuno si rimette a correre in campo, nessuno si siede sugli spalti, se non dopo che i minuti diventano dieci ed il regime prende la cosa come una sfida al potere, qualcosa da reprimere, come si reprime qualunque atto, qualunque pensiero, qualunque ipotesi contro i generali, la dittatura.

Diciassette sono gli ammazzati di quella squadra, diciassette morti che lasciano il segno, politicizzati o meno che siano i ragazzi torturati brutalmente, uccisi e gettati dove capita, come spazzatura. Solo uno si salva, il capitano, Raul Barandiaran Tombolini, forse rimasto vivo apposta, perché tutto pensavano i generali, salvo che il loro tempo finisse, nel giro di pochi anni, troppi però per le atrocità commesse, gli eccidi, le torture; Raul può così raccontare, non senza quel senso di colpa che pervade chi è rimasto, chi non ha condiviso la medesima sorte dei compagni.

Il destino ha scritto la storia tragica di quei diciassette ragazzi, della gioventù cancellata nell’Argentina dei generali, l’Argentina che in quel 1978 ospita i Mondiali di calcio, l’Argentina che quei Mondiali li vince, tentando di mascherare dietro un velo le atrocità e la paura, ampiamente documentate da molti dei giornalisti presenti, italiani compresi, perché si può tentare di nascondere la realtà, non cancellarla.

Il Direttore responsabile Maurizio Vigliani – Foto Repertorio

Redazione IL POPOLANO

La Cesenate

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