ASSISTENTI SOCIALI E MAMME VITTIME O STREGHE CATTIVE?

La nascita di una figlia, la gioia di una vita. Speranze riposte che si infrangono miseramente di fronte alla tragica realtà. All’inizio appena sussurrata, poi sempre più forte. Finisce la gioia ed inizia l’inferno. Una figlia sempre più difficile da gestire. I primi contrasti, le prime litigate, le notti insonni aspettando che la figlia torni. Crisi adolescenziale, è la normale fase della vita. Ma Laura (nome di fantasia) intuisce subito che non è solo il percorso di vita di una bambina cresciuta troppo in fretta.

Bottiglie di liquori trovate sotto il letto, giorni interi senza dar notizie di sé. Poi la prime conoscenze con la Legge, le Forze dell’Ordine. Ed arrivano i Servizi Sociali con i suoi Assistenti. I Servizi Sociali chiamano gli Psicologi. Gli Psicologi chiamano gli Educatori. E così via, in un’eco infinita di moltiplicazione di ruoli, competenze e professioni. Non sempre e non tutti idonei. Passano anni e a Laura viene detto che ha un rapporto conflittuale con la figlia. Senza scomodare Freud o gli archetipi di Jung, anche Laura lo intuiva, ancor prima dell’arrivo dello Stato attraverso le sue figure ed Istituzioni. Ad ogni modo.

Passano quattro anni ed arrivano anche i Provvedimenti del Tribunale dei Minorenni. La figlia di Laura viene messa in Comunità ed alla mamma viene sospesa la responsabilità genitoriale perché “rimane l’alta conflittualità tra madre – figlia, nonostante i plurimi interventi effettuati”. Interventi che sono consistiti in “sedute” – o meglio, colloqui asseritamente terapeutici – nei quali la mamma, sempre presente, ha aspettato invano la figlia. Che la sfidava apertamente chiedendole se avesse chiamato i CC. del luogo per la sua assenza.

Epilogo: la figlia di Laura fugge numerose volte dalle Comunità dove la ragazzina è stata collocata; forse un po’ troppo “aperte” per dei Centri di collocamento che hanno la pretesa di istruire ed educare ragazzini ed in cui si ripongono le speranze e le aspettative di genitori che delegano proprio alle strutture statali il compito di rieducazione. Ed un ruspante P.M., di fronte all’ennesima fuga ed al successivo ritrovamento della ragazzina, propone azione per la decadenza dalla responsabilità genitoriale.

Eccesso di zelo professionale? Può essere addossata alla madre la scomparsa di una ragazzina che fugge dalla Comunità in cui è stata collocata per Provvedimento del Tribunale su indicazione dei Servizi Sociali? E che solo a distanza di 4 (quattro) anni scopre che sua figlia necessita dell’attenzione del Servizio di neuropsichiatria infantile? L’ansia di un genitore, che scopre, solo oggi, che la figlia ha qualcosa che non va, verrà tamponata in un tempo non inferiore a qualche anno, prima che possa (forse) iniziare a vedere sensibili miglioramenti. Più di quattro anni di attesa per poter ricevere una cura sono molti per tutti, ma per una ragazzina di 15 anni, dove il processo di accrescimento è molto rapido, significa che il disturbo diviene meno trattabile e l’intervento meno efficace.

Chi può cercherà una risposta privata, chi non può (e Laura appartiene alla seconda categoria) si sentirà discriminato. Abbiamo un grandissimo bisogno di rinnovati servizi per i minori, che possano veramente sostenere le limitate risorse dei genitori e dei piccoli; occorre evitare una valutazione di bambini e genitori alla luce di un modello ideologico, inseguendo spesso una genitorialità utopica ed irrealistica.

Occorrono servizi animati da un’autentica cultura psicoterapeutica, che siano in grado di leggere le dinamiche intrapsichiche ed interpersonali, che dispongano di competenze di psicologia individuale e della famiglia, servizi più autonomi e differenziati rispetto alle istituzioni giuridico punitive.
Le attenzioni dei Servizi Sociali, talvolta, sacrificano proprio quelle figure professionali che dovrebbero agire in collaborazione con medici, psicologi e psichiatri e non in modo autonomo. Specialmente quando si è in presenza di figure il cui iter formativo, fatto di qualche anno di scuola in cui si apprendono solo elementarissime nozioni di psicologia, non possano avere lo spessore culturale per giudicare se un genitore ha la capacità di esserlo, invocando la cosiddetta capacità genitoriale, il cui significato non sempre dimostrano di conoscere.

A cura di Avv. Costantino Larocca editorialista – Foto Imagoeconomica

Redazione IL POPOLANO

La Cesenate

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