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Processi troppo lunghi e giudici che non riescono nè ad assolvere nè tantomeno a condannare. Purtroppo solo in Italia succedono ancora queste cose. La malagiustizia è un cancro tutto italiano che non riusciamo a debellare. Ma è tutto l’ iter che porta al processo, non solo l’ aula di tribunale, ad imbarcare acqua. Una persona indagata per un reato viene sbattuta in galera, per paura che possa fuggire o inquinare le prove. Ma così facendo, invece di trovare le prove che incastrino definitivamente l’ accusato, si punta solamente a trovare un qualsiasi colpevole da dare in pasto all’ opinione pubblica. In attesa del processo, l’ indagato deve aspettare il processo, da dietro le sbarre, vivendo in una condizione simile solo all’ inferno descritto dal sommo Dante. Quindi, secondo questo strano iter, il processo non servirebbe praticamente a nulla. Capite bene che ognuno di noi sarebbe in grave pericolo. Lo stato di diritto verrebbe soppiantato senza troppi complimenti da quello di polizia. La parola presunto innocente non viene mai pronunciata nè dai magistrati e neanche dai giornali che si buttano a pesce, in maniera quasi morbosa, su vicende così complesse e drammatiche. Dobbiamo abbassare i toni e farci tutti (magistrati e non), un bell’ esame di coscienza. Non si contano i casi di malagiustizia nella storia italiana e quindi non si contano nemmeno le numerose brutte figure che continuiamo a fare, a livello internazionale. Il simbolo per eccellenza della malagiustizia italiana è stato Enzo Tortora. Un brillate giornalista e conduttore televisivo accusato di essere uno spietato camorrista. In un’ agendina, trovata in un’ abitazione di un vero camorrista, c’era scritto il nome e cognome del giornalista con a fianco un numero telefonico. Il cognome riportato in quell’ agendina era Tortona è non Tortora. Sarebbe bastata una semplice perizia calligrafica che venne effettuata solo molto tempo dopo. Molto probabilmente, per la magistratura, era stato più semplice sbattere il mostro in prima pagina e così alle ore 4 di notte del 17 giugno 1983, presso la sua abitazione, Tortora veniva svegliato dai carabinieri, ammanettato e sbattuto in cella. Agli occhi di tutti gli italiani era un delinquente e il fatto che fosse anche famoso, aggravava ulteriormente le cose. Dopo un lungo periodo di detenzione, passato tra carcere e arresti domiciliari, Tortora è stato giustamente assolto nel 1985, anche se poi il povero conduttore si arrenderà ad un male incurabile nel 1988. Tortora, prima di morire però, ha avuto la forza di indire un referendum (essendo entrato in politica al fianco dei Radicali), sulla responsabilità civile dei magistrati che purtroppo, nonostante la grande partecipazione da parte degli italiani, ha portato solamente a una versione molto debole della suddetta responsabilità, limitata alla malafede dei magistrati, difficilissima da dimostrare. Questa vergognosa vicenda (come tante altre), non ha insegnato nulla alla nostra giustizia che continua a condannare e ad assolvere chiunque, senza seguire una logica precisa. Se un magistrato sbaglia è giusto che lo riconosca e, allo stesso tempo, è giusto che paghi come qualsiasi altro. Non basta chiedere scusa, perchè il giudizio di un magistrato è paragonabile solo a quello di nostro signore. Queste toghe decidono della vita delle persone e non è cosa da poco. Per evitare, una volta per tutte, questi imbarazzanti scivoloni, occorre dare spazio a gente competente che sappia trattare la legge e tutte le sue sfaccettature. Anche in questo settore deve prevalere la meritocrazia e non l’ anzianità. I processi non devono durare anni, ma al massimo qualche mese. La colpevolezza deve essere dimostrata e la pena deve essere certa. Oltre a questo, il sistema cacerario deve cambiare, necessariamente, rotta. Le carceri sono strapiene di individui che vivono ai limiti della decenza. Una soluzione sarebbe l’ istituzione di pene alternative per i reati meno gravi come gli arresti domiciliari, oppure un percorso lavorativo al di fuori dal carcere, che possa reintrodurre il detenuto nella collettività. Tutte queste piccole azioni, ci potrebbero far uscire dal baratro in cui siamo caduti. Sbagliare è umano, e noi abbiamo sbagliato tanto, ma perseverare negli errori e negli orrori è, semplicemente, assurdo e diabolico.

Editorialista Nicola Luccarelli – Foto Marco Iorio

Redazione IL POPOLANO

La Cesenate

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