Nei tempi moderni è una moda condivisa, un rito oramai consacrato. Quando lo speaker di uno stadio annuncia la formazione ospite, realizza una voce da giornata dei morti, abbassa il tono e recita velocemente numeri e nomi come se leggesse una lista di defunti. Anche questo è un modo per prendere le distanze. Come a dire: “È il mio lavoro, mi tocca, ma ne farei volentieri a meno di citare questa gente”. Un po’ come l’attaccante che segna alla sua ex squadra e non esulta. “Mi pagano per fare gol, ma non volevo”.

Quando invece comincia ad annunciare la formazione di casa, ecco che srotola le tonsille e si mette a urlare invitando il popolo a fargli da eco. In questo caso ci mette tutto il cuore e diventa il primo tifoso di tutto lo stadio. Accade anche che in alcuni casi la squadra avversaria non sia neppure citata. Poche settimane fa a Bologna lo speaker ha iniziato la lettura partendo dai giocatori, tralasciando “colposamente” di citare il nome della squadra ospite: “la Juventus”. Perché cancellarlo? Ricordo che nel 2005 accadde anche di peggio. Con una trovata che ai responsabili deve essere apparsa geniale, lo speaker dell’Olimpico cancellò i nomi del giocatore Emerson e dell’allenatore Capello, che tornavamo a Roma da juventini. Il vuoto dei loro nomi, creato ad arte, fu riempito di fischi e insulti di ogni tipo. Quella prodezza rappresentò una svolta nell’evoluzione del genere umano tutt’uno con un microfono.

Ai tempi del nazismo si annientavano le persone togliendo loro l’identità e sostituendola con numeri marchiati sulla pelle. Perché mai lo sport, l’attività più vitale e coinvolgente inventata dall’uomo, dovrebbe fare la parodia di quel periodo storico? La Lega calcio dovrebbe imporlo per decreto: “Ogni società è tenuta a controllare che lo speaker del proprio stadio pronunci per intero e chiaramente il nome della squadra ospite e dei suoi giocatori”. Multa salata a chi non rispetta la regola. Sembra una banalità. Se non si rispettano le prime norme di convivenza civile, come la tutela dell’identità, alla fine cadranno anche le altre. Negli anni ‘70 Giovanni Marzotto, classe 1934, per oltre trent’anni è stata la voce di San Siro. Riceveva il foglio della formazione direttamente dalle mani di Helenio Herrera. Con Nereo Rocco, allenatore del Milan, e Nicolò Carosio, radiocronista, si fermava a giocare a carte nello spogliatoio.

La gente lo chiamava “signor Meteor” e gli voleva bene come a uno di famiglia. Giovanni Marsotto era juventino, ma leggeva le formazioni di Inter e Milan in modo squillante e usava lo stesso tono per tutte le avversarie delle milanesi. Una professionalità di altri tempi. Oggi governano gli urlatori-tifosi. Ci può stare, anche se non hanno diritto di tenersi in gola i nomi delle squadre e dei giocatori. Qualcuno dovrebbe obbligarli a sputarli fuori.

Il vice Direttore Ugo Vandelli – Foto Ansa

Redazione IL POPOLANO

La Cesenate

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