Sono passati ormai 26 anni dall’uccisione di Rosario Livatino, il giudice assassinato dalla mafia il 21 settembre 1990 mentre si trovava sul viadotto lungo la Agrigento-Caltanissetta, per recarsi in Tribunale.

“Il giudice di ogni tempo deve essere ed apparire indipendente – sosteneva Livatino – e tanto può esserlo ed apparire ove egli stesso lo voglia, e deve volerlo per essere degno della sua funzione e non tradire il suo mandato”.

Questa sua forte integrità morale, unita all’indipendenza e alla correttezza furono gli elementi che lo resero bersaglio della mafia, nei confronti della quale stava conducendo numerose inchieste. Rosario Livatino fu la prima vittima illustre di quell’infausto periodo che furono gli anni 90, in cui morirono servitori dello Stato del calibro di Giovanni Falcone, Paolo Borsellino, Libero Grassi o Antonino Scoppeliti.

Ancora oggi, per alcuni di questi delitti, non si conoscono gli autori materiali e i mandanti, mentre nel caso di Livatino, attraverso le rivelazioni di un testimone di giustizia, la Cassazione confermò nel 2001 la condanna all’ergastolo per Salvatore Gallea e Salvatore Calafato, accusati di essere i mandanti dell’omicidio.

Secondo la sentenza, Livatino venne ucciso perché “perseguiva le cosche mafiose impedendone l’attività criminale, laddove si sarebbe preteso un trattamento lassista, cioè una gestione giudiziaria se non compiacente, almeno, pur inconsapevolmente, debole, che è poi quella non rara che ha consentito la proliferazione, il rafforzamento e l’espansione della mafia”.

L’allora Presidente della Repubblica Cossiga, lo soprannominò il “Giudice Ragazzino”, non certo con intento edificante, ma poi smentì di essersi riferito a Livatino.

Oggi, in occasione del 26 anniversario dell’uccisione, si terrà una cerimonia nella quale gli sarà intitolato, per volontà dell’Anas, il cavalcavia realizzato sulla statale 640, il luogo del terribile delitto.

Redazione IL POPOLANO

La Cesenate

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