Si può essere messi alla sbarra per aver fatto il proprio lavoro? Ebbene sì, a Gianluigi Nuzzi ed Emiliano Fittipaldi è successo.

I due giornalisti e scrittori, autori di “Via Crucis” e “Avarizia” (due libri che hanno fatto venire a galla tutte le nefandezze della Chiesa), sono stati accusati di aver pubblicato del materiale riservato. Da che mondo è mondo, un giornalista che sa fare il proprio mestiere, ha come obiettivo primario quello di ricercare la verità. Se dei documenti sono stati trafugati dal Vaticano (possono essere stati Monsignor Balda, Francesca Chaouqui o qualsiasi altro), e resi pubblici, un operatore della comunicazione ha il sacrosanto diritto di scriverci un articolo o pubblicare un libro, se vuole.

Prima, però, dovrà, attraverso una fonte attendibile, verificare tutta la documentazione di cui è venuto in possesso. Semplice, chiaro e limpido. Cosa c’è di strano o ancora da capire? In Italia non è assolutamente reato, pubblicare questo tipo di materiale, ma per la Chiesa oltre a essere peccato è un reato molto grave, punibile con 8 anni di galera. Eh sì, Nuzzi e Fittipaldi rischierebbero grosso, se venissero giudicati colpevoli. Tutto questo è semplicemente assurdo. Nello stato pontificio (perchè di uno stato stiamo parlando), la libertà di espressione è stata messa a dura prova. Invece di andarci giù pesante contro i cosiddetti “corvi” che hanno messo in piazza gli affari più loschi della Chiesa, si punta il dito (in maniera anche ingiustificata tra altro), contro due professionisti di un certo calibro come i due giornalisti italiani.

Nuzzi, nelle sue tante interviste rilasciate su questa vicenda, ha sempre definito questo processo “kafkiano”. Può essere definito solo così un processo in cui le udienze durano solamente un’ ora e invece di avvalersi di un proprio avvocato di fiudicia, agli imputati vengono assegnati degli avvocati d’ufficio poco prima dell’ inizio della prima udienza. C’è una bella differenza tra pubblicare delle notizie vere e pubblicare delle notizie false e tendenziose. Pubblicare notizie è un’attività protetta dalla Costituzione italiana, dalla Convenzione europea dei Diritti dell’ Uomo e della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo. Scusate se è poco.

Senza l’ attività di investigazione da parte di giornalisti in gamba, che amano il proprio mestiere, il giornalismo sarebbe morto ormai da anni. Chi vuole allevare giornalisti di parte, di regime, di partito, dovrà fare sempre i conti con alcune mosche bianche che continueranno a darsi da fare e a lottare per tutte le libertà. Tra le grande inchieste che hanno portato anche alla caduta di governi, la più famosa è stata, sicuramente, quella del “Watergate”, ai tempi in cui Nixon era il Presidente degli Stati Uniti. Due giornalisti del Washington Post, Carl Bernstein e Bob Woodward hanno fatto venire alla luce tutto il marcio della presidenza di Richard Nixon. Per la prima volta, in America, un Presidente si dimetteva dal suo incarico. Quindi, il giornalismo serve a questo. Serve a trovare la verità. Serve a scavare in fondo, a raschiare il barile per trovare quello che i potenti tengono nascosto.

Da giornalista, sono vicino a Nuzzi e Fittipaldi e spero che tutta questa situazione si risolva in meglio. L’ informazione deve sopravvivere e continuare a formare l’ opinione pubblica, sempre e comunque.

A cura di Nicola Luccarelli

Redazione IL POPOLANO

La Cesenate

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui