Siamo veramente liberi a questo mondo? Siamo veramente liberi di pensare, amare, vivere? E di morire? Già, come la nascita anche la morte fa parte della vita. Tutti noi, un giorno, dovremo fare i conti con questa realtà. Speriamo che accada il più tardi possibile, ma alla morte non possiamo sfuggire.

Tuttavia, quando una persona versa in gravi condizioni fisiche ed è ridotto ad un vegetale, immobilizzato su un letto o su una carrozzella, come la mettiamo? Se un malato terminale volesse mettere fine, una volte per tutte, alle sue sofferenze, potrebbe farlo, ora, in Italia? Assolutamente no, perchè l’ eutanasia (così si chiama questa pratica), è illegale. Anche aiutare a far morire un’ altra persona è illegale e per la legge si chiama suicidio assistito. Per questi poveri cristi, non rimane che aspettare la fine, sperando che ogni giorno sia l’ ultimo. All’estero invece l’ eutanasia è legale e sono in molti a praticarla, ma nel nostro paese è inconcepibile.

La vita (secondo i dettami del cattolicesimo e anche secondo i miei personali), è un bene che va preservato in maniera assoluta, senza se e senza ma. Non so proprio se sarei in grado di staccare la spina ad un mio parente in fin di vita, qualora me lo chiedesse, e non per le conseguenze legali a cui andrei incontro, ma per quelle strettamente legate alla coscienza e al coraggio. Comunque, indipendentemente dalle mie considerazioni personali, ogni individuo dovrebbe essere libero di vivere e morire come meglio crede. Abbiamo conosciuto (grazie ai media), i casi della povera Eluana Englaro e di Piergiorgio Welby. Due casi di eutanasia che hanno fatto discutere tanto, anche in Parlamento. Nel primo caso è stato il padre di Eluana a prendere la decisione di staccare il respiratore dopo 20 anni di calvario, mentre nel secondo caso è stato il medico (secondo la volontà di Welby), a liberarlo dalle macchine che lo tenevano in vita. Due situazioni diverse sotto certi aspetti, ma simili per altri.

Nel primo caso, la volontà di morire della giovane è stata ricostruita anche in base a testimonianze delle amiche più strette di Eluana, mentre Welby si è sempre battuto, in prima persona, per avere riconosciuto questo diritto. Parlo di diritto, perchè sono molte le persone che, nel 2015, hanno a che fare con malattie incurabili. Per queste persone vivere in un letto, non riuscire a mangiare da soli e soprattutto non aver il controllo delle attività corporali, è peggio della morte stessa. Di recente un grande regista come Mario Monicelli che di anni ne aveva 95 (ma con il cervello di un ragazzino), ha deciso di farla finita, gettandosi dal quinto piano dell’ ospedale in cui era ricoverato. Il motivo? Monicelli era malato di cancro alla prostata, e non voleva ridursi a una bambola di pezza. Anche se in Italia l’ eutanasia è contro la legge, i malati gravi continueranno a trovare il modo di uccidersi per non soffrire. Nel nostro paese ci sono le cure palliative che aiutano i pazienti terminali ad andarsene senza soffrire, attraverso la sedazione. Ma queste “cure”, non fermeranno quel folto gruppo di persone che continuerà a lottare per ottenere il diritto a una morte dignitosa.

Si parla di “morte”, “diritti”, “dignità”, tutte parole che hanno un peso enorme per noi e spesso vengono trattate in maniera molto superficiale. Dai politici, su questi temi così scottanti in questi anni, ci si aspettava certamente di più, ma tutti gli appelli sono rimasti inascoltati. In merito non c’è ancora una legge chiara in Italia, nessuna norma è stata introdotta. In Italia sappiamo solo rimandare le cose all’ infinito, senza prendere, mai, in mano la situazione. E’ arrivato il momento di parlare chiaro e prendere una posizione. Le sofferenze allungano la vita di persone che, anche se respirano, in realtà non vivono.

A cura di Nicola Luccarelli

Redazione IL POPOLANO

La Cesenate

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