Lee Morgan nasce a Philadelphia il 10 luglio del 1938, trombettista dell’era Be-Bop, debuttò giovanissimo nella big band di un’altro trombettista Dizzy Gillespie, per passare nella formazione dei The Jazz Messagers del batterista Art Blakey, il fondatore.
Iniziò parallelamente a incidere da sideman e come leader con l’etichetta discografica Blue Note Records, si notano le opere discografiche Blue Train, nella formazione del sassofonista tenore John Coltrane, Night Dreamer, del sax tenore Wayne Shorter, Candy, con il suo quartetto insieme a Sonny Clark, nella celebre opera discografica, The Sidewinter, con il sax tenore Joe Henderson.

Lo stile “hot” fluente, virtuosistico e intensamente espressivo fa del giovane trombonista Lee Morgan uno dei maestri dell’Hard-Bop, cresciuti sotto la scuola del trombettista Dizzy Gillespie ed eredi della fondamentale lezione di Clifford Brown, altro grande trombettista.
Lo stile di Lee Morgan fu un esempio per i campioni dello strumento, la tromba della sua generazione, come Freddie Hubbard, Charles Tolliver e Woody Show, oltre che per i giovani leoni della tromba come Wynton Marsalis e il compianto Roy Hargrove.

“Era una notte gelida del 1967, quando Lee Morgan entrò per la prima volta in casa di Helen Moore, per chi frequentava i circoli Jazz quell’appartamento era l’Helen’s Place’, un vero e proprio rifugio per musicisti in difficoltà, compresi quelli tossicodipendenti. Non girava droga, solo un po’ di comprensione e pasti caldi a fine serata”.
“Lee Morgan era già fra i migliori trombettisti di tutti i tempi, solo quattro anni prima aveva pubblicato ‘The Sidewinder’ uno degli album di maggior successo, ma quella sera, nonostante la temperatura rigida si presentò con indosso la giacca, neppure la tromba aveva con sé, insieme al capotto era rimasta al banco dei pegni per qualche dollaro, l’eroina lo stava consumando da tempo, ma Helen, arrivata a Manhattan dal North Carolina, non appena lo vide senti battere il suo cuore e gli salvò la vita”.
“Lee Morgan […], […] era il più piccolo dei quattro figli di Nettie Beatrice e Otto Riccardo, una famiglia in cui la chiesa riveste un ruolo centrale, sia il padre che la sorella maggiore Enerstine, una seconda madre per Bobby, Jimmy e Lee, sono particolarmente attivi, l’uomo ricopriva persino la prestigiosa posizione di Presidente del Consiglio battista Pentacostale dei diaconi ed inoltre, seguiva e si faceva partecipe della vita politica e sociale, in un momento storico oltremodo importante per i neri americani”.
“La musica passione comune tra i fratelli, Bobby divorata dischi be-bop, mentre Ernestine cantava sapeva suonare l’organo e loro due, allo scoccare del tredicesimo compleanno, gli regalavano a Lee una tromba tutta sua. Il ragazzo aveva già mostrato interesse per il vibraharp strumento a percussione in cui sviluppo si deve all’ingegnere della J.C. Deagan, Harry Schluter, ma date le condizioni economiche , una spesa del genere non era da prendere in considerazione”.

“Morgan comincia così a prendere le prime lezioni, trascorre il tempo chiudo in camera ad esercitarsi ad ascoltare dischi jazz, compone i suoi primi assoli, i genitori lo incoraggiavano, la musica buon modo per tenere il figlio lontano dai guai, oltre ad essere da sempre una strada per uscire dal ghetto, senza contare che nella comunità, il musicista godeva del rispetto anche da parte di quei personaggi tutt’altro che raccomandabili”.

“A quindici anni, si iscrive alla Jules Monthaum Area Vocational Hight School e durante il primo anno, entra a far parte dell’orchestra, ma il repertorio bandistico è quanto di più lontano dai suoi gusti, amava il jazz e così, l’esperienza fu di lì a poco , avrebbe avuto modo di conoscere l’allora ventitreenne Clifford Brown trombettista e pioniere dell’Hard-Bop, che riuscì ad entrare nell’Olimpo del jazz, nonostante la vita gli concesse solo pochi anni per mostrare le proprie capacità. L’incontro avvenne infatti nel 1954 e solo due anni più tardi, la notte del 26 giugno del ’56, Brown, morì insieme al pianista Richie Powell e sua moglie Nancy in un incidente stradale sulla Pennsylvania Turnpike. A causa della pioggia, la donna, alla guida del veicolo ne perse improvvisamente il controllo e i tre precipitarono in una scarpata”.
“In quegli anni il jazz sfornata divinità come neanche la mitologia greca e romana avevano fatto e in giro trovavi John ‘Trane’ Coltrane, Miles Davis, ‘Philly’ Joe Jones, Chet Baker, Charlie Parker, Dizzy Gillespie con la sua big band, c’era il paradiso in terra e Clifford Brown era uno di loro, perciò il tempo trascorso con lui era un sogno per Morgan, fin da allora lo aveva conosciuto attraverso i dischi, ne aveva trascritto gli assoli come faceva con tutti gli altri, mentre adesso si confronto con lui, ascoltarlo dal vivo e assorbirne i concetti”.

“Inizia così a esibirsi nei locali, sfida i musicisti durante jam session e proprio in una di queste, all’interno del negozio di strumenti musicali Music City, si trova davanti il leggendario Sonny Stitt, sassofonista contralto e tenore di passaggio a Philadelphia. Aveva sentito parlare di Lee Morgan, così gli chiese se voleva suonare qualcosa. “È per questo che sono qui”, rispose. Fu Inviato quindi a sceglierei pezzo, ma l’insorgenza dell’età riprese parola e ribatté per lui: “Qualunque cosa tu voglia”.
Sonny Stitt prese a suonare ‘Cherokee’, un brano di Roy Noble pubblicato nel 1938 e conosciuto anche come ‘Indian Love Song’. Negli anni è stato registrato anche da Duke Ellington, Count Basie, Sarah Vaughan e molti altri, ma il sassofonista bostoniano lo eseguì più velocemente e in chiave differente dall’originale, rendendolo decisamente più complesso. Lee Morgan impallidi’ e se ne andò.

Per due o tre mesi nessuno ebbe più sue notizie, quando però tornò a farsi vedere re per i locali, sapeva suonare ‘Cherokee ‘ esattamente come l’aveva sentita da Stitt.
Nell’ambiente il suo nome era oramai conosciuto, benché avesse appena 17 anni, tanto che gli arrivò un offerta d’ingaggio niente di meno che da Art Blakey già batterista nell’orchestra del cantante Billy Eckstine, nella quale militava il gotha del bebop.
Lo voleva come membro de The Jazz Messagers, gruppo che aveva fondato nel ’55 insieme a Horance Silver. Morgan però non se la senti di seguirli nelle tournée e si trovò costretto a rifiutare, ma appena un anno dopo, a chiamarlo è Dizzy Gillespie e questa volta decise d’immergersi nell’avventura. Nell’arco di pochi giorni proposte di collaborazione arrivarono pioggia e grazie al sassofonista della band di Gillespie, Lee Morgan entra in contattò con Alfred Lion, produttore della storica Blue Note Records. Registrato a novembre del ’56 con alla batteria Philly Joe Jones, Wilbur Were al basso, Horance Silver al pianoforte e Clarence Sharpe al sassofono contralto, i primi di marzo del 1957, Morgan debutta con l’album ‘Lee Morgan Indeed!’. Nonostante il genio esca fuori con prepotenza i brani del disco lo mostrano acerbo, forse solo insicuro, fatto sta che in poco più di un anno, otto furono in totale gli album pubblicati: ‘Introducing Lee Morgan ‘, ‘Lee Morgan Sextet’, ‘Dizzy Atmosphere’, ‘Lee Morgan Vol.3’, ‘City Light’, ‘The Cooker’ e ‘Candy’.

Alla fine del ’57 Gillespie si vede costretto a scogliere la band, evento che non ebbe ripercussioni sulla carriera di Lee Morgan che ben presto sarebbe stato salutato come uno dei più grandi trombonisti, con 25 dischi consegnati alla storia e centinaia di collaborazioni”.
Il problema della società degli anni Cinquanta Sessanta e Settanta che circolava nei locali a night club la droga, l’eroina e i musicisti bopper ne facevano uso. Una situazione a dir paradossale, nomi noti che facevano uso di stupefacenti.
L’era della label Blue Note Records, del produttore Alfred Lion aveva aperto ai giovani bopper la possibilità di registrare le loro opere discografiche, ma questo cancro era un problema serio e enorme, comprendeva tutta la cultura, dall’arte pittorica, alla musica, al cinema e alla letteratura. Una situazione assai pesante per gli Stati Uniti d’America. Non erano coinvolti solo i neri, vi erano anche i bianchi, delle società perbeniste che si riunivano negli avvenimenti culturali e che snffavano droga, l’eroina. Era un periodo molto difficile e la polizia aveva il pugno duro, come si vuol dire.

“Quello stesso anno infatti” Lee Morgan ” collaborava con John Coltrane, pochi mesi dopo la Blue Note Records lo blinda con un contratto ed al contempo entra a far parte di quel gruppo I The Jazz Messagers di Art Blakey, una promessa di popolarità e consacrazione da un lato, una maledizione dall’altro.
Oltre alla vicinanza di grandi musicisti, Morgan aveva adesso la possibilità di fare suoi i preziosi insegnamenti che Blakey era in grado di offrire, come l’arte della performance dal vivo, intrattenere il pubblico, in questo il leader del gruppo era maestro, ma lo era a che nel farsi di eroina, droga che all’epoca dilagava egli ambienti jazz e non Mancava certo di girare a che tra i Messagers. Storia vuole che Blakey tenesse per sé gli incassi e pagasse i giovani con l’eroina, per poi abbandonarli a sé stessi nel momento in cui questa avesse preso il sopravvento.

La vita di Lee Morgan, sarà inesorabilmente segnata da quell’esperienza ed egualmente la carriera, perché se è vero che ebbe modo di affinare ulteriormente la tecnica, far comparire il proprio nome in decine di album e registrarne altrettanti, la droga lo divora lentamente, tanto nel 1963, si fece ricoverare all’ospedale di Lexington, nel Kentucky, struttura al tempo particolarmente in voga tra i personaggi famosi. L’assenza delle scene fu giustificata facendo circolare voci secondo le quali il trombettista si era arruolato nell’esercito e giunto l’inverno, Morgan era nuovamente pronto a suonare e registrare.
La clinica però non lo aveva affatto disintossicato, gli aveva semplicemente mostrato come poteva gestirsi, non era molto “ma era solo una vergogna”, ma quanto bastò per permettergli di registrare quel capolavoro di ‘The Sidewinder ‘.

Il jazz stava vivendo un momento di declino, l’attenzione del pubblico cominciava ad essere atratta dalle nuove icone del rock, per cui la stessa Blue Note si convinse a stamparne solo 4000 copie, ma nonostante tutto, queste andarono esaurite in pochi giorni e nel gennaio del ’65 l’album aveva raggiunto la 25° posizione nella classifica di Billboard . La traccia che da il nome al disco, fini’ per essere utilizzata in spettacoli televisivi, persino la Chrysler la volle come tema per le sue pubblicità.
Solo con quell’album il trombettista guadagnò 15mila dollari, ma alla fine del ’67, di quel denaro non era rimasto nulla, volatizzato. Lee Morgan era l’ombra di sé stesso, dormiva ovunque gli capitasse, panchine, marciapiedi, sale da bigliardo, per sopravvivere e procurarsi una dose commetteva piccoli furti”.
Magari chissà come sopravvisse alla fame, e cosa mangiasse, chissà!
“Finché non trovò riparo a casa di Helen Moore.

Ed è in questo momento che lei entra nella vita di Lee Morgan.
Poco si sa della sua vita prima di quel giorno, persino il cognome non è certo, alcune fonti si riferiscono a lei come Moore, per altre è More.
Nata nel 1926 a Brunswick Country, a quattordici anni era già madre di due bambini, ma lì abbandonò per seguire la madre a Wilmington, città del’North Carolina, dove si innamorò di un tipo che faceva il contrabbandiere e più che di lui, s’innamoro’ dei soldi che questi riusciva a guadagnare, particolare che le permise di sorvolare anche sulla differenza di età, era più giovane di 22 anni, e I due si sposarono.

Il matrimonio durò appena un paio d’anni, secondo la versione ufficiale l’uomo morì annegato, ma i dubbi su quanto gli accadde, sono tutt’altro che svaniti.
Trasferitasi a New York, subì il fascino del jazz, s’interesso’ alle tematiche proposte dai musicisti e in poco tempo si guadagnò il oro rispetto.
Quando Morgan la conobbe era già sposato con la ballerina e modella Kiko Yamamito ma cedette immediatamente alle attenzioni di Helene fino appena un anno da quell’incontro, la coppia cominciò a presentarsi come moglie e marito, erano i Morgan, benché non consolarlo mai a nozze. Qualcuno dirà che la donna prese il controllo totale della vita del musicista, gli amici la consideravano piuttosto una benedizione. Insieme si trasferirono nel Bronx e da quel momento i musicisti continuarono ad essere i benvenuti, mentre i tossicodipendenti non avranno più asilo, né un posto a tavola. Helen , cominciò a prendersi cura di lui, fece si che Lee intraprendere un programma di riabilitazione a base di metadone; era compagna, madre, meneger, vigilava su di lui costantemente, non perse un solo concerto e per quanto non pote’ eliminare completamente l’eroina dalla vita di Morgan, riuscì quantomeno a fargli diminuire le dosi e già questo si rivelò positivo”.

(IL testo virgolettato è stato tratto su oneline da Terzo Pianeta – Sezione Musica. Testo del giornalista Giuliano L. Ladini, del 23 marzo 2018).

Nel febbraio del 2009 la Casa Editrice Odoy srl pubblica in Italia il libro “Lee Morgan, ‘la vita, la musica e il suo tempo’, dello scrittore americano Tom Perchard, con l’introduzione di Enrico Bettinello, titolo originale, “Lee Morgan, ‘His life, music and culture’, autore Tom Perchard 2006, Equinox Publishing Ltd. Edition.
Il primo libro a raccontare la vita, la musica e la cultura del jazzista Lee Morgan: Una storia che è molto più di una semplice biografia della sua tomultuosa vita di un musicista di Philadelphia e che si allunga a descrivere il contesto artistico, sociale e politico di un’epoca ricca di contraddizioni, quella a cavallo tra i primi anni Settanta, in America.

Il libro delinea il cuore di un uomo nei suoi desideri di riscatto senza indulgiare mai su ciò che non è essenziale dire.
Dal pesantissimo rapporto con la tossicodipendenza alle contraddittorie condotte personali e artistiche; dalla sua fuga a New York City – dove gli avevano spaccato tutti i denti – fino al trionfale ritorno nel 1963. Dal Progressivo avvicinamento alle istanze politiche della gente nera (cui sono dedicate pagine non banali e ricche di testimonianze) fino alla tragica fine a 33 anni, allo Slung’s un locale, per mano armata di della sua compagna Helen Moore , ripresa in un ruolo ben più profondo della semplice assassina per gelosia.

‘Il musicista costituisce infatti una nuova band, con la quale si esibisce a New York, Baltimora, Chicago, Detroit, s’interessa dei diritti civili, abbraccia la filosofia di Malcom X e s’impegna politicamente come mai aveva fatto prima. Un cambiamento che si riflette anche nella musica adesso più dolce, contemplativa, Lee Morgan non è fuori dal mondo della droga, continua ad assumere metadone e all’eroina, che si fa sempre più scarsa per le vie della Grande Mela”, New York City, “sostituisce la cocaina, comunque sia è meno inquieto, porta la sua conoscenza nelle scuole, insegna.
Al contempo cominciava ad allontanarsi da Helen e più si allontanava e più l’abbraccio lei si faceva una morsa. Morgan incontra altre donne, s’intrattiene con loro dopo le serate e tutto davanti ai occhi della compagna.

Inevitabilmente si sente umiliata, nascono i primi litigi, cominciarono ad avere discussioni e sfuriate anche in presenza di amici e niente sembrava oramai poter riparare il rapporto sulla giusta strada. Helen smise di andare ai concerti, era oramai a conoscenza delle relazioni con altre donne, la disperazione si tramuto’ in un tentato suicidio e da allora, prese l’abitudine di girare con la una pistola infilata nella borsa.
La sera del 19 febbraio del 1967, Morgan era diretto allo Slug’s Saloon, un jazz club di Manhattan, quando a causa del ghiaccio perse il controllo dell’auto andando a schiantarsi sul marciapiede. Prese la sua tromba e giunse comunque al locale anche se visibilmente scosso, l’incidente gli aveva riportato alla memoria quanto accaduto anni prima all’amico e mentore Clifford Brown.

Passata la mezzanotte, durante una pausa tra un set e l’altro, Helen irruppe nel locale Morgan le si avvicinò e presero a litigare animatamente, alla fine il musicista l’afferro’ per un braccio e con forza la spinse fuori dal locale facendola cadere sulla neve. A quel punto Helen estrasse la sua calibro 32.
Un colpo. Lee Morgan rimase in piedi qualche istante, poi con gli occhi spalancati cadde a terra. Le condizioni climatiche non permisero all’ambulanza di giungere in tempo e quella donna che solo pochi anni prima gli aveva salvato la vita, si l’era appena presa.
Lee Morgan morì dissanguato all’età di 33 anni”.

(L’ultima parte de il testo virgolettato è stato tratto dal sito oneline Terzo Pianeta, scritto dal giornalista Giuliano L. Landini, pubblicato il giorno 23 marzo 2018).

A cura di Alessandro Poletti – Foto Getty Image

Redazione IL POPOLANO

La Cesenate

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