Il 3 febbraio del 1998 non avevo ancora 30 anni, ma il ricordo della notizia data dalle tv e dai telegiornali è ancora nitido ed impresso nella mia mente.

Un velivolo statunitense, guidato da militari americano e decollato dalla base aerea di Aviano, volando a bassissima quota ed a velocità supersonica, trancia il cavo della funivia che da Cavalese porta all’Alpe Cermis, provocando la caduta della cabina e la morte di tutti i suoi 19 occupanti.

L’aereo, invece, riusci, seppur danneggiato, a ritornare alla base.
Non si può di certo sostenere che sia stata, quella che poi passò alla storia come “La tragedia del Cermis”, come una tragica fatalità: da diverso tempo gli abitanti di quelle zone denunciavano, agli organi di stampa ed alle Autorità locali, il ripetersi di voli, da parte di aerei americani, a quote decisamente troppo basse e per questo pericolosissime.
Ma si sa, ad una potenza militare e non solo, coma gli U.S.A., che occupa fisicamente il nostro suolo da tempo immemore, tutto è concesso ed azioni criminali ed illegali, fatte da personaggi che usano un aereo militare come se fosse un carro armato di Risiko, passano, da noi, per burle o tutt’al più per mascalzonate di buontemponi a cui tutto è concesso.
Al dolore dei familiari, si aggiunse quello, davvero sentito ed autentico, di tutta Italia, profondamente scossa dal tragico evento.

Come spesso capita, la tragedia si tinse di beffa atroce: il motivo per cui l’aereo volava a bassissima quota e ad una velocità elevatissima, era di motivo squisitamente paesaggistico: avevano intenzione, i cow – boys dell’aria, di effettuare dei video panoramici, i più estremi possibili, delle nostre meravigliose vallate.
Siccome una bravata tira l’altra, già che c’erano, ritennero opportuno accompagnare il loro intento con piroette e virtuosismi aerei ad una altezza dal suolo il più inferiore possibile.

E’ proprio grazie a questi “giochi aerei” che persero la vita 19 persone.
La responsabilità dei piloti americani risulta, sin dall’immediatezza, lampante ed inequivocabile: il capitano del velivolo Richard J. Ashby, pilota, ed il navigatore Joseph Schweitzer, oltre a tutti gli altri responsabili, meritano una punizione esemplare.

La Magistratura italiana si mosse subito in tale direzione ed avviò un’indagine che rilevò le incontestabili colpe dei piloti del Prowler americano.

Si parlò, in “giuridichese”, di azioni che contravvenivano agli accordi che prevedevano un minimo di altitudine per effettuare esercitazioni in volo e di divieto di sorvolo delle aree coperte di neve durante la stagione invernale.
Furono trovate responsabilità anche nei confronti dei controllori di volo di terra, italiani e statunitensi, responsabili dei piani di volo delle esercitazione degli aerei militari.

Un’illusione di Giustizia che durò poche settimane; gli U.S.A., dopo aver avuto la certezza che gli italiani si stavano muovendo per punire i loro “patrioti dell’aria”, intervennero decisamente per scipparci la sovranità, parlando di una non chiarissima Convenzione di Londra del 19.06.1951, in base alla quale i reati commessi dai militari della NATO nel territorio di un Paese dell’alleanza diverso dal proprio, devono essere giudicati da un Tribunale della nazione di appartenenza: sarebbero stati giudicati in patria, con tutte le garanzie di un regolare ed equo processo.
L’Italia ed il suo Governo, che avrebbero avuto l’occasione per riacquistare prestigio e decoro internazionale agli occhi di tutti e soprattutto dei propri cittadini, scelsero invece un comportamento più “prudente”, rinunciando, di fatto alla sovranità italiana a favore di quella statunitense.

Con un risultato facilmente immaginabile: le accuse originarie di omicidio colposo e preterintenzionale furono sostenute solo per il pilota ed il copilota, entrambi assolti dall’accusa di strage.
Nonostante, si badi bene, le prove schiaccianti dei tabulati di volo, che dimostravano, agli occhi del Mondo, la loro piena colpevolezza.

L’unica condanna espressa fu davvero grottesca e quasi una presa in giro.
Non si sarebbe potuto assolvere completamente i due militari statunitensi: i parenti delle vittime gridavano vendetta, gli U.S.A. avevano gli occhi della stampa internazionale puntati addosso e la diplomazia fra l’Italia e gli Stati Uniti d’America presentava già qualche crepa.

Doveva comunque essere trovato un qualcosa che suonasse come piccola punizione. Un escamotage. Una tirata d’orecchi. Un buffetto sulla guancia. Perché non soffermare l’attenzione della Corte Marziale statunitense sul video fatto dai piloti durante il volo, prontamente distrutto dal pilota? Sull’aereo era infatti stata ritrovata la videocamera che era servita per il filmato amatoriale, ma senza cassetta registrata: al suo posto c’era una cassetta vuota e le successive indagini dimostrarono che Ashby e Schweitzer avevano provveduto a farla sparire. In particolare Joseph Schweitzer, nel 2012 (notare bene: dopo ben 14 anni dalla strage, quando qualsiasi ammissione di colpevolezza non avrebbe potuto influenzare il processo), confessò di aver distrutto, al suo ritorno alla base, il nastro video che avrebbe consentito di svelare la verità sull’incidente.
Si passò, quindi, dai reati di strage, omicidio colposo e preterintenzionale, a quello di “ostruzione della giustizia” e “condotta inadatta ad un ufficiale”.

Talmente “inadatta”, tale condotta, da causare la morte di 19 persone.
E come in un film western, arriva la cavalleria americana a salvare i loro eroi in difficoltà, trasformando, con un virtuosismo giuridico incomprensibile ai più, una strage di 19 innocenti in una distruzione di un video girato sull’aereo militare.
Erano tutti militari, quelli del processo svoltosi nella Carolina del Nord: Giudici, giurati, periti, testimoni. E i militari dovrebbero avere uno spiccato senso dell’onore e dire la verità, per quanto scomoda. Onore che divenne, nel processo per la strage del Cermis, omertà cameratesca e priva di coraggio.

Nemmeno il risarcimento ai familiari delle vittime, nel frattempo costituitesi in un Comitato, riescono a dare un senso, sia pure tardivo e per quanto possa essere monetizzata la perdita di una vita umana, di giustizia.
Gli avvocati delle vittime hanno infatti ritirato la causa civile a fronte di un accordo che ha previsto un risarcimento complessivo pari a due milioni di dollari per ogni vittima. Risarcimento pagato per i tre quarti dagli U.S.A., per i restanti dal contribuente italiano.

Si fa davvero fatica a comprendere il motivo di questo peso che grava su ogni cittadino italiano; una beffa ulteriore che si aggiunge alle tragedie.

Troppe. Le une e le altre.

A cura di Avv. Costantino Larocca – Foto Adige

Redazione IL POPOLANO

La Cesenate

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